Ancora una prova delle politiche farlocche dell’Unione europea che ha imbracciato il talebanesimo ambientalista e a politiche del “green deal” irrealizzabili e controproducenti per l’economia continentale e per i cittadini, con l’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) che testimonia come i sacrifici di Europa e Stati Uniti siano sostanzialmente vanificati dall’incremento record dei consumi di carbone fatti registrare in particolare da India e Cina, che lo impiegano per produrre l’energia necessaria alimentare la loro manifattura che poi inonda i mercati occidentali a basso prezzo.
L’ultima edizione del rapporto annuale sul mercato del carbone dell’Aie è impietoso e testimonia il fallimento della velleità ambientalista europea, secondo cui la domanda globale di carbone, la principale fonte di energia per la generazione di elettricità e la produzione di acciaio e cemento e la più grande fonte di emissioni di anidride carbonica prodotte dall’uomo, dovrebbe iniziare a diminuire entro il 2026. Forse.
Secondo l’Aie il 2023 ha fatto registrare il picco storico di consumo di carbone: parallelamente ai cali record nell’Unione europea e negli Stati Uniti, di circa il 20% ciascuno, a livello globale la crescita della domanda è stata dell’8% in India e del 5% in Cina, due realtà con oltre 3 miliardi di popolazione affamata di energia a basso prezzo.
Le previsioni dell’Aie segnalano un calo della domanda globale di carbone del 2,3% entro il 2026, ma sempre collegato alla prospettiva di una grande crescita del consumo di rinnovabili, che dovrebbero avere il loro record nei prossimi tre anni proprio in Cina, che attualmente da sola rappresenta più della metà della domanda mondiale di carbone.
Secondo il direttore dell’Aie per i mercati energetici e la sicurezza, Keisuke Sadamori, i consumi di carbone globali dovrebbero rimanere ben sopra gli 8 miliardi di tonnellate fino al 2026. Per ridurre le emissioni a un ritmo coerente con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, secondo l’Aie il consumo di carbone dovrebbe diminuire molto più rapidamente, mentre la domanda di questo fossile va spostandosi ed aumentando specie in Asia, dove Cina e SudEst asiatico rappresentano i tre quarti del consumo globale, rispetto a circa un quarto nel 1990, con una previsione che il consumo nel SudEst asiatico superi per la prima volta quello degli Stati Uniti e quello dell’Unione europea nell’anno appena trascorso.
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