Il debito pubblico si origina per il 68,1% in quarant’anni di disavanzi Inps

La mancata copertura della spesa previdenziale e, soprattutto, sociale in 40 anni ha ingigantito il disavanzo per alimentare il consenso politico.

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debito pubblico

Come si è generato l’enorme debito pubblico italiano che è in procinto di tagliare la soglia dei 3.000 miliardi di euro, gettando più di un’ombra sulla sua sostenibilità? A questa ed altre domande formulate dagli spettatori de “Lo Schiacciasassi” tenta di rispondere questa puntata basandosi anche sui dati di una ricerca del Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali realizzata da Bruno Bernasconi che ha messo in linea una serie di numeridecisamente preoccupanti, sottovalutati pesantemente da tutta la politica italiana degli ultimi 40 anni.

Dall’analisi dei dati rielaborati dal Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali nel Settimo Rapporto “La Regionalizzazione del Bilancio Previdenziale italiano”, presentato lo scorso 7 novembre al CNEL, emerge come ben 12 Regioni italiane presentino un rapporto tra entrate contributive e uscite per prestazioni al di sotto del 75%, soglia che può essere considerata come uno spartiacque di un sistema vicino all’equilibrio, con pesanti disavanzi soprattutto nel Mezzogiorno. Com’è facilmente intuibile, ciò determina deficit annuali che hanno contribuito a far lievitare il debito pubblico, sottraendo oltretutto risorse a quegli investimenti in produttività e competitività che migliorerebbero il mercato del lavoro, riequilibrando il sistema.

L’entità dei disavanzi regionali, e il conseguente squilibrio tra le diverse aree del Paese, è ben spiegata dal peso assunto dalla componente assistenziale tra le varie voci di spesa. Dall’aggregazione dei dati per macroaree, emerge che il Mezzogiorno, dove si trovano la maggior parte delle regioni con deficit più elevati, assorbe il 52,37% dell’intera spesa assistenziale con una popolazione residente pari al 33% del totale, contro il 28,21%del Nord che però ospita il 46% della popolazione italiana.

L’indagine di Bernasconi condotta lungo una serie storica di ben 42 anni, dal 1980 al 2021, non mostra cambiamenti sostanziali nella distribuzione regionale delle entrate e delle uscite, rimarcando invece un’insufficiente capacità di coprire con contributi di scopo la spesa per welfare.

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Analizzando la serie storica dei dati si nota come le entrate contributive siano aumentate dai 16,2 miliardi di euro del 1980 ai 148,6 miliardi del 2021, con un incremento dell’816%, inferiore però al +919% segnato dalle uscite per prestazioni, salite da 17,9 a 182,5 miliardi per effetto, da un lato, dell’adeguamento dell’importo delle pensioni e, dall’altro, dell’erogazione di maggiori trattamenti assistenziali.

L’incremento della spesa per prestazioni ha generato una serie di deficit annuali che sono stati finanziati mediante emissione di debito pubblico, cresciuto di un impressionante 2.194% e passato dai 116,74 miliardidel 1980 ai 2.678,4 del 2021 (2.847 miliardi al settembre 2023).

Una parte importante di questo debito, di fatto, deriva dalle concessioni pensionistiche fatte nel periodo economicamente migliore dopo il boom del Secondo Dopoguerra, a partire dalla “poco previdente” riforma Brodolini del 1969. Solo la riforma Amato del 1992, insieme alla successiva introduzione del sistema di calcolo contributivo, cominciò ad arginare la “generosità” – non economicamente sostenibile – del sistema di protezione sociale italiano.

Nei 42 anni analizzati dalla Settima Regionalizzazione di Itinerari Previdenziali, sommando tutti i disavanziINPS si arriva a una cifra di 1.098,75 miliardi che, aggiungendo la stima dei saldi delle gestioni dei dipendenti pubblici pari a 252,7 miliardi, porta il deficit accumulato in moneta corrente a 1,351,5 miliardi, pari a oltre la metà dei 2.678 miliardi di debito pubblico 2021. Calcolando invece l’incidenza dei disavanzi sul debito pubblico in moneta 2021, il sistema INPS evidenzia un disavanzo cumulativo di periodo pari a 1.479,5 miliardidi euro, al quale si somma quello prodotto dalle gestioni dei dipendenti pubblici (344,73 miliardi) per un totaledi 1.824,2 miliardi, pari al 68,1% del debito pubblico italiano.

Scendendo ancor più nel dettaglio, sulla base dei saldi tra entrate e uscite per prestazioni in moneta 2021 ottenuti da ogni singola Regione, è possibile calcolare una sorta di “stato patrimoniale regionale” e, di conseguenza, stimare quanto ciascuna Regione ha contribuito alla formazione del debito pubblico nazionale. In particolare, suddividendo il disavanzo in moneta 2021 per le tre macro-aree geografiche del Paese, il Mezzogiorno con 20 milioni di abitanti produce il 59,9% del deficit totale (Sicilia, Campania e Puglia producono il 41,4% del debito totale), il Centro (11,8 milioni di abitanti) ne assorbe il 15,3%, mentre il Nord(27,5 milioni di abitanti) concorre per il 24,3%.debito pubblico

Ma dalle ricerche del Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali emerge anche un’altra verità: il carico sociale e fiscale è sopportato da una ristretta fascia di cittadini – circa il 25% – mentre la restante parte ne è sostanzialmente a carico, in tutto o in parte. Di fatto, la soglia è fissata agli ormai mitici 35.000 euro lordi annuidi guadagno, al di sotto dei quali si hanno vantaggi a fronte del contributo dato, mentre sopra si è solo contributori netti a favore del bilancio statale. E questo non è un bene per garantire l’effettiva equità tra i cittadini che il governo Meloni dovrebbe sforzarsi di migliorare, anche a favore di una “classe media” sempre più in via di estinzione.

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