Stipendi differenziati in base al costo della vita: primo passo alla Camera

Passa un ordine del giorno a firma Lega, mentre al Senato inizia la discussione una proposta di legge analoga in Commissione lavoro.

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Prima era un cavallo di battaglia solo della Lega fu Nord, su cui ora pare convergere tutta la maggioranza del governo Meloni: le retribuzioni dei dipendenti pubblici e privati dovranno essere adeguate al luogo in cui vivono con stipendi differenziati in base al costo della vita che, tra una città e l’altra, può variare anche di 4.000 euro l’anno, circa 350 euro al mese.

Una situazione oggettiva, puntualmente fotografata dall’Istat, che è alla base della mancata mobilità sul territorio dei lavoratori, visto che lo stipendio medio può essere adeguato in realtà dove il costo della vita è basso, mentre può essere insufficiente in quelle dove è più alto, come le grandi città in media ma anche al Nordrispetto al Sud.

La proposta di stipendi differenziati non vuole toccare gli stipendi di base e gli istituti dei diritti contrattati, ma lavorare sulle voci, una sorta di modularità che si può tradurre in quelle comunemente definite come “gabbie salariali”, anche se dai partiti di maggioranza si tiene ben a distanza questo concetto netto.

Per trasformare in realtà gli stipendi differenziati in base al costo della vita, la Lega, con l’avallo di FI e FdI, procede su due fronti: con un ordine del giorno presentato durante la discussione che ha azzerato il salario minimo, approvato alla Camera col parere favorevole del governo, e con un disegno di legge assegnato in Commissione Lavoro del Senato il 28 novembre.

Le opposizioni, già sul piede di guerra per lo stravolgimento del salario minimo, accusano il centrodestra di voler tornare alle “gabbie salariali”. Una critica che la maggioranza respinge dicendo che si tratta solo di una maggiorazione di retribuzione che si aggiunge allo stipendio che «resta uguale per tutti».

Con l’ordine del giorno a firma di Andrea Giaccone (Lega), si dice che «ritenuto che il tema del costo della vita e delle retribuzioni adeguate è principalmente sentito nel settore del pubblico impiego, laddove lo stipendio unico nazionale può comportare disuguaglianze sociali su base territoriale, creando discriminazioni di reddito effettivo», si valuta «che sarebbe auspicabile per alcuni settori, come nel mondo della scuola, un’evoluzionedella contrattazione che, da una retribuzione uguale per tutti, passi a garantire un pari potere d’acquisto per tutti, ipotizzando una base economica e giuridica uguale per tutti, cui aggiungere una quota variabile di reddito temporaneo correlato al luogo di attività» dove il dipendente è applicato.

Il Pd accusa la maggioranza di «voler dividere il Paese», mentre il M5S avverte Giorgia Meloni che «se seguirà la Lega in questa follia ci troverà dentro e fuori il Parlamento a difesa della dignità dei docenti e dell’unità del sistema scolastico nazionale». Ma sono proprio gli stessi docenti della scuola residenti nel Sud a rifiutare spesso cattedre a tempo indeterminato al Nord proprio perché lo stipendio non basta per pagare affitto, bollette, spesevarie e poi avanzare qualcosa anche per fare la spesa e risparmiare, con la conseguente rinuncia all’incarico di ruolo.

Il capogruppo della Lega al Senato, Massimiliano Romeo, ha depositato un disegno di legge in merito «per sostenere il potere d’acquisto dei dipendenti pubblici e privati attraverso la previsione di trattamenti economici accessori collegati al costo della vita dei beni essenziali, così come definito dagli indici ISTAT, nelle aree territoriali presso cui si svolge l’attività lavorativa, con particolare riferimento alla distinzione tra aree metropolitane urbane, suburbane, interne e di confine».

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