L’Italia evita la recessione tecnica per un soffio nel III trimestre 2023 grazie al ricalcolo del Pil nazionaleeffettuato dall’Istat che vira in positivo l’andamento dell’economia, che chiude a +0,1%, quanto basta per assicurare la chiusura dell’anno in territorio positivo a +0,7%, un risultato che fa da contraltare ad una recessione ormai ben presente in molti altri paesi d’Europa, ad iniziare dalla Germania che chiuderà il 2023 peggio delle previsioni, mettendo una seria ipoteca pure sul 2024.
Secondo l’Istat «alla lieve crescita del Pil contribuiscono positivamente sia i consumi delle famiglie e delle istituzioni sociali private per 0,4 punti percentuali, sia la domanda estera netta per un punto percentuale, mentre la variazione delle scorte fornisce un contributo negativo».
Cresce dello 0,3% il valore aggiunto dell’industria e dello 0,1% quello dei servizi, mentre risultano ancora in flessione agricoltura, silvicoltura e pesca (-1,2%). Sono positivi gli andamenti di posizioni lavorative, unità di lavoro e ore lavorate, cresciuti rispettivamente dello 0,1%, 0,2% e 0,4%, così come i redditi pro-capite, cresciuti dell’1,1%. Rispetto al trimestre precedente, tra i principali aggregati della domanda interna risultano in crescita i consumi finali nazionali in misura pari allo 0,6%, mentre gli investimenti fissi lordi si riducono dello 0,1%. Le importazioni sono diminuite del 2% e le esportazioni sono aumentate dello 0,6%.
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Intanto, secondo l’Indice Hcob Pmi sul settore manifatturiero (si tratta di un indice redatto da S&P Global) a novembre l’indice italiano è calato a 44,4 da 44,9 di ottobre, a livello minimo in cinque mesi. Il dato è inferiorealle stime degli analisti che prevedevano un aumento a 45,3. I dati di novembre hanno osservato un «forte crollodella produzione, il più veloce in tre mesi, che è stato attribuito dalle aziende che partecipano all’indagine alla continua debolezza della domanda del settore, che ha inoltre causato un calo dei nuovi ordini».
Quello italiano è comunque di un dato migliore di quello registrato da Hcob Pmi per il settore manifatturiero Eurozona, che a novembre è a 44,2, (in crescita rispetto al 43,1 di ottobre). Soprattutto, è migliore di quello della Germania che si attesta a 42,6.
Anche se l’Italia evita la recessione, la situazione economica è tutt’altro che rosea perché, come conferma Confesercenti, quest’estate, pur registrando un aumento rispetto al periodo primaverile, i consumi sono diminuiti dello 0,2% rispetto alla stessa stagione 2022, per una flessione di circa 535 milioni di euro in meno anno su anno.
«L’auspicio è che il calo dell’inflazione, e il conseguente progressivo recupero del potere d’acquisto dei redditi,possano riportare velocemente i consumi su un trend positivo. A patto, però, che le famiglie mantenganol’attuale propensione di spesa, particolarmente elevata nella prospettiva storica – commenta Confesercenti -. Fino ad oggi, infatti, gli italiani hanno ridotto la quota destinata al risparmio per mantenere il più possibile i livelli di consumo: se il tasso di risparmio delle famiglie dovesse tornare sui valori normalmente registrati prima della pandemia, la ripresa dei consumi attesa per il prossimo anno potrebbe essere più lenta del previsto. Un rischioda scongiurare lavorando per tenere alta la fiducia di consumatori e imprese».
A frenare sulle aspettative di ripresa dell’economia europea ci si mette la crisi finanziaria che sta iniziando a mordere vari gruppi, specie nel settore immobiliare, maggiormente esposti al repentino rialzo dei tassi operato dalla Bce. Se in Italia sono in ambasce le aziende invischiate nei crediti illiquidi del Superbonus 110% che, se non si sblocca la situazione entro le prossime settimane rischiano di saltare e con esse migliaia di famiglie con i lavori non completati che dovrebbero restituire al fisco le anticipazioni già incassate, all’estero il problema è dato dall’impossibilità di fronteggiare egli effetti del caro denaro per gruppi fortemente indebitati.
Nei giorni scorsi è fallito il gruppo immobiliare austriaco Signa del miliardario René Benko, con debiti per 25 miliardi dei quali 13 verso il sistema finanziario e bancario di Austria, Germania e Svizzera, con qualcosa anche in Italia. In questo caso, il rischio, specie per le banche di minore dimensione, è a loro volta l’insostenibilità del credito divenuto insoluto, con il rischio di fallire a loro volta. Particolare il caso del gigante bancario svizzero Ubs, che si trova un insoluto da 580 milioni di Signa ereditato dal Credit Suisse, banca fallita a inizio 2023 e salvata proprio da Ubs.
Di fatto, tutte le realtà economiche costruite sull’indebitamento iniziano a scricchiolare. Quello di Signa è un impero costruito rapidamente metà a debito e metà sul capitalismo di relazione, e potrebbe diventare la “Lehman Brothers d’Europa” che nel 2008 ha innescato la grande crisi finanziaria, per la vastità del suo effetto domino, ma è anche la prima grande vittima (e molte ne seguiranno) della folle era dei tassi a zero, che ha alimentato l’ennesima bolla speculativa nell’economia.
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