Pnrr la Commissione europea approva il riassetto proposto dall’Italia

Arrivano 12 miliardi aggiuntivi, con 145 nuove misure. Grava sempre l’incognita della capacità del sistema nazionale di realizzarlo entro i tempi ristretti del 2026, come denuncia il presidente dell’Antitrust.

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La Commissione europea ha approvato le modifiche proposte dal governo italiano relative all’aggiornamento del Pnrr per renderlo più aderente alle necessità del Paese, sfoltendolo di tutte quelle spese tipiche di elargizionie manomorte varie – al limite dello spreco clientelare – di cui era infarcita la prima versione stilata da M5s e Pd.

Il nuovo Pnrr italiano è complesso quanto il precedente anche se vale anche qualche miliardo in più, 194,4 miliardi rispetto ai 191,5 previsti all’inizio dall’Ue. L’Italia ha infatti ottenuto un supplemento di sovvenzioni pari a 2,75 miliardi per il “RepowerEu” e 144 milioni in più, sempre in sovvenzioni, per il ricalcolo della quota da destinare a Roma alla luce dell’andamento del Pil.

Il capitolo energetico approvato dalla Commissione vale invece 11,17 miliardi. Alla quota di sovvenzioni vanno aggiunti 8,4 miliardi reindirizzati dal Pnrr del governo Draghi proprio al “RepowerEu”. L’Italia, in realtà, aveva presentato una proposta che destinava al nuovo capitolo circa 19 miliardi: non tutta la redistribuzione delle risorse ha quindi ottenuto l’approvazione della task force Recovery dell’Ue. –

Le misure nuove o riviste che hanno incassato l’approvazione della Commissione sono 145. Di queste, oltre cento sono state modificate sulla base delle cosiddette circostanze oggettive ex articolo 21: la guerra in Ucraina, crisi energetica, l’inflazione elevata, la domanda più bassa delle attese, le strozzature delle forniture, i disastri climatici. Il 39% dei fondi del Pnrr è destinato alla transizione ecologica, il 25,6% a quella digitale.

Quattro sono le misure che il governo ha rimosso rispetto al piano precedente, mantenendo tuttavia la stessa ambizione nella complessità dei progetti. Nel capitolo “RepowerEu” ci sono 5 nuove riforme (dalla riduzione delle sovvenzioni dannose per il clima allo sviluppo delle rinnovabili) e 12 nuovi investimenti, che includono anche un maggiore riciclo e reperimento delle materie critiche.

Il testo presentato dal governo Meloni ad agosto e approvato da Bruxelles, rispetto a quello del governo Draghi, presenta una maggiore attenzione agli investimenti nel comparto idrico, nella formazione, nelle politiche attivedel lavoro. Viene mantenuto (con più garanzie per i meritevoli) l’obiettivo dei 60.000 alloggi in più per gli studenti. Ne escono ridotti invece i Piani di rigenerazione urbana (da 3,3 miliardi a 2) e i Piani urbani integrati(da 2,5 miliardi a 900 milioni). In chiave della sostenibilità è cambiata anche la parte che prevedeva la messa a terra di semi: al loro posto saranno piantati direttamente alberi già cresciuti; in totale non saranno più 6,6 milioni, ma 4,5. La prevenzione dei rischi idrogeologici, la costruzione di nuove reti ferroviarie e il superbonus(con il taglio del sismabonus) sono altre due aree che hanno subito un restyling con il nuovo documento.

Sono 12,4 i miliardi che nel nuovo Pnrr andranno alle imprese. A guidare è la Transizione 5.0, che incasserà 6,3 miliardi con lo strumento del credito di imposta. Corposo anche lo stanziamento di fondi per le imprese attivenel settore delle rinnovabili. Circa 1,2 miliardi saranno destinato alla ricostruzione di Emilia Romagna, Toscanae Marche, dopo i nubifragi di quest’anno. 5 miliardi confluiranno nel settore delle reti e infrastrutture: dalle retielettriche e del gas, all’acquisto – per oltre un miliardo – di nuovi treni a emissioni ridotte. Alle politiche del lavoro il governo, rispetto al Piano precedente, ha destinato un miliardo in più, 618 sono i milioni dedicati alle politiche giovanili.

Sull’attuazione pratica del Pnrr con la spesa dei 194,4 miliardi entro la fine del 2026 sono molti ad avere dubbi, complice l’avvio al rallentatore dei due anni trascorsi. Di questa situazione se ne fa interprete Roberto Rustichelli, presidente dell’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato, nel suo intervento agli Stati generali della Ripartenza organizzati dall’Osservatorio economico e socialeRiparte l’Italia” a Bologna: «ci troviamo in una situazione in cui a mio avviso c’è pochissima coerenza della progettualità e ci saranno tantiprogetti che probabilmente non arriveranno in fondo. Questa è la verità, è inutile che lo neghiamo. Non siamo in grado a mio avviso di completare tutti i progetti che abbiamo messo in cantiere nei termini previsti dal Pnrr. E’ un fatto grave, mi assumo la piena responsabilità di queste dichiarazioni. E’ inutile che ci nascondiamo, la realtà, purtroppo, a mio avviso, è questa».

Allargando la sua riflessione ad uno scenario più ampio, Rustichelli ha detto che «nello scenario macroeconomico internazionale, le debolezze strutturali dell’economia italiana ci portano a lanciare nuove sfide. Siamo in un momento in cui registriamo meno crescita e più inflazione, fra sfide interne e internazionali. Bisogna puntare a una economia sempre più concorrenziale, al dinamismo imprenditoriale: cose che sono pilastro per la promozione di principi democratici, garantendo la diversità, l’accesso equo alle opportunità e la libertà di scelta. L’Italia, in questo contesto, può cogliere diverse occasioni come la diversificazione delle fonti, la transizione verde, la riorganizzazione delle catene produttive. La concorrenza – conclude il presidente dell’Agcm– quindi, è la condizione essenziale perché il mercato generi ricchezza ma anche la condizione per contribuireal benessere dei consumatori». Proprio quella concorrenza che interi settori dell’economia nazionale, dai taxi ai balneari, rifiutano come la peste.

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