L’ipotesi di una cedolare secca aumentata dal 21% al 26% sugli affitti brevi, come ha proposto di fare il ministro al Turismo, Daniela Garnero Santanchè (FdI), «se confermata, colpirebbe proprio quella classe mediache il Governo dice di voler supportare nella capacità di spesa mettendo le mani nelle tasche dei proprietari italiani» denuncia l’Aigab, l’Associazione Italiana Gestori Affitti Brevi, a seguito delle pressioni del settore alberghiero per limitare la crescita delle locazioni turistiche di case che viene ritenuta una forma di concorrenza sleale per via dei minori obblighi gestionali e di sicurezza rispetto ad un albergo.
«Forse non è ancora chiaro a chi immagina queste norme – spiega Aigab -, che per lo Stato gli affitti brevi valgono circa 11 miliardi di euro in termini di prenotazioni dirette, circa altri 44 miliardi di indotto per un totale di circa 57miliardi di PIL, calcolando anche quanto attivato da ristrutturazioni, arredi e manutenzioni».
Secondo l’Aigab «per i cittadini, per gli italiani gli affitti brevi sono uno strumento per arrotondare e integrare il proprio reddito nel pieno rispetto della legalità ed incassare a fine mese un’entrata preziosa senza perdere la disponibilità del proprio immobile visto che quando si parla di rischio morosità si parla di un tasso insolvenzadel 24%». Aspetto su cui un governo serio avrebbe dovuto già da anni intervenire, sia per garantire il diritto di proprietà, che per impedire il perpetrarsi nel tempo di comportamenti illegittimi.
«Il 96% delle case messe a reddito in Italia con gli affitti brevi – ricorda Aigab – appartiene a proprietari singoli; parliamo di circa 600.000 famiglie che contano sulla messa a reddito di un immobile ereditato o su cui hanno investito con l’obiettivo di procurarsi, legittimamente, un’entrata integrativa. Lo spirito della cedolare secca è rendere conveniente e semplice pagare le tasse, ma un incremento dal 21% al 26% avrebbe come unico effettoquello di spingere i proprietari verso gestioni opache per non dire espressamente verso il sommerso». Con conseguente perdita di gettito per le casse pubbliche.
«Per fare cassa in maniera etica e contrastare l’evasione – osservata l’Aigab -, il Governo dovrebbe piuttosto concentrarsi sulla rapida attuazione di una banca dati nazionale, incrociando automaticamente ed in tempo reale dati già oggi più che noti all’Agenzia delle Entrate. Attualmente per un proprietario la rendita netta tramitegli affitti brevi equivale al 35% dell’incasso, dal cui totale complessivo deve infatti stornare cedolare secca(21%), costi per le utenze (circa 3.000 tra elettricità, gas, wi-fi, TARI, TASI, IMU), costi delle pulizie (10% degli incassi), costi dei portali online (20% degli incassi). Va da sé che innalzando al 26% la cedolare secca lo Stato vedrà come conseguenza un minor gettito perché ai proprietari converrà affittare per meno giorni e magari in nero piuttosto che investire in una gestione complessa come quella online per lasciare una percentuale così alta al fisco».
«Davvero – conclude Aigab – non riusciamo a capire perché il Governo voglia spendere 14 miliardi per ridurre il cuneo fiscale, salvo poi aumentare le tasse alle stesse famiglie che, per arrotondare, affittano la seconda casa. E non riusciamo a capire perché chi affitta con un normale contratto 4+4 continuerebbe a pagare il 21%».
Nella sua difesa di settore, Aigab sorvola sul fatto che la spinta verso gli affitti brevi delle abitazioni in molte realtà, specie quelle a maggiore vocazione turistica, sta avendo effetti negativi anche sulla disponibilità di alloggi residenziali per le famiglie e per i lavoratori e studenti fuori sede, che devono fronteggiare un consistente calo di offerta con conseguente forte rincaro degli alloggi disponibili. Un problema che gli amministratori pubblici devono necessariamente regolamentare, contemperando le esigenze della residenzialità con la legittima disponibilità degli immobili da parte dei proprietari.
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