Nonostante la svolta restrittiva delle politiche monetarie delle banche centrali e la dinamica salariale moderata, l’inflazione in Italia rimane elevata (+5,3% su settembre 2022 secondo le stime preliminari dell’Istat, in lieve flessione su base mensile) ed emergono segnali di difficoltà del sistema economico, in uno scenario geopolitico dove si moltiplicano i fattori di instabilità e incertezza che colpiscono anche il comparto agroalimentare come testimonia il Rapporto ISMEA sull’agroalimentare italiano 2023 consultabile a questo link.
L’agroalimentare è stato tra i settori più colpiti e uno dei principali centri di trasmissione degli aumenti dei prezzi in Italia, a causa del suo ruolo nell’economia e della sua dipendenza dall’estero per prodotti energetici, materie prime e beni intermedi che lo rendono particolarmente vulnerabile alle tensioni su mercati internazionali. Ciononostante, la dinamica dei prezzi dei prodotti alimentari è risultata inferiore a quella media registrata nell’UE e in Germania e Spagna.
Più nel dettaglio nel 2022, secondo il Rapporto ISMEA sull’agroalimentare italiano, il contributo dell’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari all’inflazione è stato significativo. La crescita media dei prezzi (misurata dall’indice Istat per i prodotti alimentari, bevande e tabacco, armonizzato per i confronti europei) ha raggiunto l’8,1%, ma è stata più contenuta di quella media dell’UE(10,2%) e dell’Eurozona (9%). Meglio dell’Italia ha fatto la Francia, che grazie al suo maggior grado di autosufficienza, alimentare ed energetica, ha subito di meno gli aumenti dei prezzi internazionali ed è riuscita a contenere gli incrementi degli alimentari a un +6%.
Diverso il caso delle utenze domestiche, che in Italia sono cresciute nel 2022 di oltre il 35%, quasi il doppiodella media UE (+18%), due volte quelle della Germania e più del triplo della Francia. Nella prima metà del 2023, nonostante il raffreddamento dei listini internazionali dell’energia e delle materie prime, l’inflazione per i prodotti alimentari nel carrello della spesa ha continuato a salire, raggiungendo in Italia il suo picco a marzo (+12%), ma evidenziando, anche in questo caso, una dinamica inferiore a quella registrata a livello comunitario. A questo proposito, tuttavia, va ricordato che in Italia il reddito pro-capite resta inferiore alla media Ue, con un divario che si è progressivamente ampliato nell’ultimo decennio.
L’effetto combinato dell’inflazione e della bassa crescita dei redditi – specie quelli da lavoro dipendente – ha eroso il potere d’acquisto e il tasso di risparmio delle famiglie, con forti squilibri sul piano distributivo: il tasso d’inflazione subìto dalle famiglie più fragili è risultato più alto rispetto a quello delle famiglie benestanti (12,1% vs 7,2%), per effetto della diversa incidenza e della diversa composizione della spesa alimentare. L’impatto sugli acquisti alimentari domestici è stato significativo, con volumi in riduzione (-3,7% nel 2022 secondo Istat), scontrini in aumento (+5%) e una ricomposizione del carrello guidata dalle esigenze di risparmio e dagli effetti dell’aumento della spesa incomprimibile per l’abitazione sul budget disponibile per l’alimentazione.
Tuttavia, pur in presenza dei consueti effetti asimmetrici dell’inflazione, l’analisi della trasmissione dei prezzi lungo la filiera agroalimentare effettuata da ISMEA, non ha evidenziato fenomeni speculativi su larga scala a carico di nessuna delle fasi. La filiera è stata in grado di mantenere sotto controllo le variazioni dei prezzi, rallentando e diluendo nel tempo gli incrementi a valle. Se infatti gli shock al rialzo dei prezzi degli input si sono ripercossi in tempo reale sui costi dell’agricoltura e, a seguire, sui costi dell’industria di trasformazione, il trasferimento alla distribuzione e al consumo finale è avvenuto con maggior gradualità, sia per l’impossibilità dell’industria di ritoccare tempestivamente i contratti in essere con la Gdo, sia per evitare eccessive e repentine contrazioni della spesa delle famiglie.
Nel decennio 2012-2022, prosegue il Rapporto ISMEA sull’agroalimentare italiano, l’industria alimentare ha mostrato un andamento di buona crescita reale, mentre l’agricoltura ha vissuto annate sfavorevoli in successione, soprattutto a causa dell’andamento climatico: il 2022 è stato l’anno più caldo e meno piovoso da quando vengono monitorati i dati meteoclimatici in Italia e il 2023 si sta rivelando anche peggiore. Ciò ha fatto retrocedere l’Italia in terza posizione nella graduatoria UE della produzione agricola, dopo Francia e Germania (prima era seconda dopo la Francia); ma, soprattutto, dal 2021 ha passato alla Francia il primato del valore aggiunto, mantenuto quasi ininterrottamente dall’Italia nel corso del decennio.
Il peso dell’Italia sulla produzione agricola dell’UE è pari complessivamente al 14%, ma sale al 37% per il vino, dove è secondo solo a quello della Francia (43%), e al 33% per l’olio d’oliva, dove segue il 48% della Spagna. Anche per la frutta, con il 18% della produzione dell’UE, l’Italia fronteggia la forte concorrenza della Spagna, che ne copre il 28%. Ma soprattutto l’Italia conferma la sua vocazione alle attività secondarie e ai servizi in agricoltura, che insieme rappresentano il 18% della produzione agricola nazionale e che ribadiscono la sua leadership in Europa sul fronte della diversificazione e multifunzionalità del settore agricolo.
Oltre agli effetti del clima, pesano sull’agricoltura italiana alcune debolezze strutturali, quali la scarsa presenzadi giovani imprenditori (solo il 9%, contro il 12% della media UE) e il correlato basso livello di formazione di chi guida la maggioranza delle aziende agricole; persiste, inoltre, la frammentazione del tessuto produttivo, nonostante l’aumento della superficie agricola aziendale occorsa nell’ultimo decennio, che segnale la presenza di un lento processo di concentrazione e riorganizzazione. Anche l’accesso alla terra si conferma un punto dolente per l’agricoltura italiana, principalmente a causa della scarsa disponibilità di terra che porta i valori fondiari ad essere in media quasi sei volte superiori quelli della Francia e due volte quelli della Spagna.
Dal lato dell’industria alimentare, l’Italia si posiziona al terzo posto nella graduatoria dei paesi UE, ma con un andamento migliore rispetto ai principali partner. Il Belpaese, che copre circa il 12% del valore aggiunto totale, dopo la Germania e la Francia, ma sopra alla Spagna, è leader incontrastato nell’industria pastaria, (oltre il 73% del fatturato dell’UE) e con un ruolo di rilievo nel vino (28%), prodotti da forno e biscotti (21%), nonché negli ortofrutticoli trasformati, nell’industria del caffè, del tè e delle tisane e nell’industria molitoria e del riso, con un peso analogo, pari al 17% del fatturato europeo.
Analizzando l’insieme dei settori della produzione agricola e della trasformazione industriale, il Rapporto ISMEA sull’agroalimentare italiano evidenzia comenel 2022 il valore aggiunto della filiera agroalimentare è arrivato a 64 miliardi di euro: 37,4 miliardi generati dal settore agricolo e 26,7 miliardi dall’industria alimentare. In questa configurazione “ristretta”, il comparto rappresenta il 3,7% del valore aggiunto dell’intera economia italiana; inglobando le fasi a valle della produzione alimentare, ossia distribuzione e ristorazione, si arriva al 7,7%, ma se si considerano anche i servizi e le attività necessari per far arrivare i prodotti dal campo alla tavola (trasporti, logistica, intermediazione), la stima del pesodell’agroalimentare sul Pil supera il 15,2%.
Nell’ultimo decennio la competitività dell’agroalimentare italiano sui mercati esteri è in aumento: le esportazioni sono cresciute al ritmo del 7,6% annuo, ben maggiore di quello delle esportazioni mondiali (+5,6%), con una quota di mercato che passa dal 2,8% del 2012 al 3,4% nel 2022. La quota di mercatodell’agroalimentare “Made in Italy” sui mercati internazionali è uguale a quello della Spagna, anch’essa contraddistinta da uno spiccato dinamismo dell’export, mentre è inferiore alle quote di Germania e Francia(rispettivamente del 4,8% e 4,3% nel 2022), che tuttavia si sono ridotte nel decennio. Il peso dell’export tricolore sulle spedizioni comunitarie si attesta al 10%, al pari di quello spagnolo, più contenuto di quello francese e tedesco. Ma in generale, e presso la quasi totalità dei principali paesi acquirenti, l’Italia ha migliorato il suo posizionamento competitivo.
Nel triennio più recente, tra il 2019 e il 2022, le esportazioni agroalimentari italiane sono aumentate del 34%, superando il record di 60 miliardi di euro nel 2022 e, nello stesso periodo, le importazioni sono cresciute del 37%. La bilancia commerciale agroalimentare è migliorata nel triennio, con il saldo in attivo nel 2020 e nel 2021; mentre nel 2022 si è consolidato il surplus per i trasformati, ma è aumentato contemporaneamente il deficit della fase agricola, facendo tornare in negativo – sia pur di poco – il saldo complessivo. Nel confronto con i partner europei, il settore agroalimentare tedesco è quello che mostra il maggior livello d’integrazione commerciale internazionale, grazie anche alla forte presenza all’estero, specie in Europa, della sua distribuzione alimentare; la Francia, al contrario, è il paese più orientato al proprio mercato interno.
La Francia – a parte i vini – è specializzata principalmente nell’esportazione di materie prime agricole, mentre Italia e Germania in quella di prodotti trasformati. L’Italia è leader mondiale nell’export di trasformati di pomodoro, pasta, vino, formaggi; la Spagna si focalizza su ortofrutta, olio d’oliva e carni suine. Nel complesso, considerando i primi 20 prodotti esportati da ciascun paese, l’Italia è seconda solo alla Francia in termini di prezzo medio, che segnala un alto livello di qualità delle esportazioni, mentre Germania e Spagna, caratterizzate da valori medi unitari inferiori, tendono ad esercitare una concorrenza di prezzo.
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