Attorno al salario minimo arriva una sentenza innovativa della Cassazione che fa strame delle polemiche politiche attorno alla soglia dei 9 euro lordi all’ora che vede la massima corte giudicante intervenire a gamba tesa doppia nel ruolo delle organizzazioni sindacali e datoriale, superandole d’un balzo a sinistra.
«Si parla notoriamente di “lavoro povero”, ovvero di “povertà nonostante il lavoro”, principalmente dovuto alla concorrenza salariale “al ribasso” innescata, in particolare dalla molteplicità dei contratti all’interno della stessa contrattazione collettiva – afferma la motivazione della sentenza della Cassazione sul salario minimo -; la quale, pur necessaria, quale espressione della libertà sindacale e per la tutela dei diritti collettivi dei lavoratori, può entrare in tensione con il principio dell’art. 36 della Costituzione che essa stessa è chiamata a presidiare per garantire il valore della dignità del lavoro».
La sentenza della Cassazione esorta i giudici a non considerare i contratti nazionali come gli unici parametri per valutare la giusta e dignitosa retribuzione, accogliendo così il ricorso di un lavoratore della vigilanza privatanon armata, impiegato a Torino. Il sorvegliante è dipendente di una cooperativa messa sotto controllo giudiziario dal Gip di Milano, dallo scorso 19 giugno. Aveva fatto ricorso al Tribunale del capoluogo piemonteselamentando la retribuzione troppo bassa e chiedendo che fosse accertato il suo diritto a percepire un trattamento retributivo di base non inferiore a quello del Ccnl dei dipendenti dei proprietari di fabbricati, i portieri.
In primo grado, il giudice aveva accolto la richiesta del vigilante e condannato la società cooperativa “Servizi fiduciari” – ex “Sicuritalia servizi fiduciari” – a pagargli oltre venti anni di differenze retributive. In appello, la Corte di Torino con sentenza del luglio 2022, aveva fatto marcia indietro, affermando che «vanno esclusi dalla valutazione di conformità all’art. 36 della Costituzione quei rapporti di lavoro che sono regolati dai contratti collettivi propri del settore di operatività e sono siglati da organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale».
Ora arriva la Cassazione che travolge la sentenza d’appello di Torino affermando come in materia di adeguatezza del salario minimo non si può non tenere conto, ad esempio, della Direttiva Eu 2022/2041 del 19 ottobre 2022 che ha come «primo obiettivo dichiarato» quello della «convergenza sociale verso l’alto dei salari minimi» che «contribuiscono a sostenere la domanda interna», e i livelli minimi devono essere «adeguati» per conseguire «condizioni di vita e di lavoro dignitose».
I supremi giudici – con il verdetto 27711 della Sezione Lavoro, presidente Guido Raimondi, relatore Roberto Riverso – sottolineano che «nessuna tipologia contrattuale può ritenersi sottratta alla verifica giudiziale di conformità ai requisiti sostanziali stabiliti dalla Costituzione che hanno ovviamente un valore gerarchicamente sovraordinato nell’ordinamento».
Tra gli “strumenti” per effettuare la verifica, la Cassazione cita il paniere Istat, l’importo della Naspi o della Cig, la soglia di reddito per l’accesso alla pensione di inabilità e l’importo del reddito di cittadinanza, avvertendo che sono tutte forme di sostegno al reddito che garantiscono una «mera sopravvivenza» ma non sono «idonei a sostenere il giudizio di sufficienza e proporzionalità della retribuzione» nel senso indicato dalla Costituzione e dalla Ue.
Ora la Corte di Appello deve adeguarsi a questi principi dal momento che «il giudice può motivatamente discostarsi» dai parametri della contrattazione collettiva nazionale di categoria quando entrino in contrasto con l’art. 36 della Costituzione, e «servirsi a fini parametrici del trattamento retributivo stabilito in altri contratti di categoria di settori affini o per mansioni analoghe».
Una sentenza che apre il vaso di pandora delle contrattazioni al ribasso, spesso fatte da quelle miriadi di sindacati poco o per nulla realmente rappresentativi, che siglano contrattazioni collettive buone solo per comprimere al ribasso il costo della manodopera. Con questa sentenza è probabile che nei prossimi mesi si assisterà ad una corsa di cause per rivedere al rialzo i salari, con problemi per le imprese che stanno già affrontando una stagione economica in rallentamento.
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