L’onda d’urto dei Superbonus ideati dalla fervida mente assistenzialistica del M5s guidati da Giuseppi Contenon si arresta e continua a travolgere i conti pubblici italiani. Non è bastata nemmeno l’eccezionale revisione al rialzo del Pil 2021, pubblicata dall’Istat, a disinnescare la bomba che da mesi annienta ogni spazio di manovranel bilancio statale. E che ora azzera anche quel guadagno sul deficit emerso grazie alla crescita più alta del 2021, che dà forza alle critiche del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, contro il sistema delle misure «facili» e dei «sussidi» all’economia che si è rivelato «nocivo».
L’Istat ha ritoccato i dati del triennio 2020-2022 per tenere conto dei nuovi criteri statistici europei e delle informazioni acquisite dopo la stima pubblicata lo scorso aprile. In particolare, le stime dell’anno 2021incorporano i dati definitivi sui risultati economici delle imprese e quelli completi sull’occupazione. Numeri che hanno dato una spinta alla crescita, provocando «una revisione di portata eccezionale rispetto a quelle verificatesi negli anni passati», spiega l’Istat.
Grazie ai nuovi dati, più accurati sulla produzione delle imprese, il Pil del 2021 è schizzato all’8,3%, ovvero 1,3 punti percentuali in più della stima diffusa ad aprile scorso. Con un effetto positivo per il deficit che dal 9% stimato ad aprile cala all’8,8%, liberando 0,2 punti. Sarebbero stati circa 4 miliardi di euro preziosi se avessero resistito nel 2022. E invece «il Superbonus ha annullato i miliardi che erano stati portati dalla revisione», ha spiegato il capo della direzione per la contabilità nazionale di Istat, Giovanni Savio.
L’Istat segnala di aver fatto una «forte revisione» delle uscite in conto capitale (5,8 miliardi di euro), dovuta proprio «alla spesa sostenuta per i bonus edilizi (Superbonus 110% e Bonus facciate)». Senza guadagni per il 2022 la revisione contabile conferma i numeri diffusi ad aprile: il Pil è al +3,7%, il deficit al -8%.
L’indebitamento netto, causato sempre dal Superbonus, si conferma un baratro: Eurostat a febbraio chiese al governo di registrare come spesa i crediti del 110% nell’anno in cui sorge il diritto alla cessione, quindi quelli maturati nel 2022 non potevano essere spalmati su più anni. Per il 2023 le cose potrebbero cambiare e la spesa del Superbonus potrebbe essere diluita nel tempo: Eurostat, a giorni, si pronuncerà di nuovo per tenere conto della stretta del governo che ha quasi chiuso del tutto le cessioni dei crediti, costringendo chi ha maturato il diritto a portarlo in detrazione su 10 anni.
Quanto alla Nota di aggiornamento al Def, attesa per giovedì prossimo, l’unica certezza è che i margini su cui il governo Meloni lavora per il 2024 sono strettissimi. Il deficit indicato nel Def per l’anno prossimo (al 3,5% il tendenziale e al 3,7% il programmatico) potrebbe essere ritoccato al rialzo, ma il 4% rappresenterebbe una vera e propria linea rossa invalicabile. Il Pil non aiuterà molto a creare nuovi spazi. Se per quest’anno la crescita dovrebbe tenere, confermandosi intorno all’1% previsto nel Def, nel 2024 sarà invece complicato attenersi ai piani (+1,5%) visto il rallentamento che si sta intensificando in tutta l’Eurozona.
Le risorse in deficit su cui il governo starebbe ragionando (aumentandolo al massimo di 0,2 o 0,3 punti, ovvero 4-6 miliardi di euro) non saranno nemmeno sufficienti a confermare il taglio del cuneo fiscale che vale 10 miliardi. Serviranno quindi nuove entrate per trovare spazi e coprire una manovra che per ora – secondo indiscrezioni – potrebbe aggirarsi sui 20–25 miliardi di euro. Una parte arriverà dalla tassa sugli extraprofitti delle banche (tra i 2 e i 3 miliardi, se non verrà affossata nelle modifiche). Ma non si esclude anche una nuova tassa sui giochi. Ma più a pensare a nuove entrate, meglio, molto meglio sarebbe che la ditta Meloni & Giorgetti agisseda buoni padri e madri da famiglia (quella italiana) tagliando, tagliando e tagliando la spesa pubblica, ormai oltre quota 1.000 miliardi, davvero troppo.
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