Il primo ottobre in Unione europea entrerà in vigore il Cbam (Carbon border adjustment mechanism), il meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere, inserito nella strategia europea verso la neutralità climatica da qui al 2050. Il suo obiettivo è arrivare a fissare un prezzo equo del carbonio contenuto in un bene o prodotto importato da un Paese terzo, in modo tale che esso sia equivalente a quello pagato dai produttori europei. Tra i settori coinvolti c’è anche quello del ferro e dell’acciaio.
In sintesi, nella fase transitoria del Cbam (1° ottobre 2023 – 31 dicembre 2025) gli importatori europei di acciaio dovranno comunicare le emissioni di gas a effetto serra dirette e indirette (Ghg) incorporate nelle loro importazioni, senza dover pagare nulla alla frontiera. Saranno raccolte informazioni sui beni (quantità, qualità, Paese di origine); produttore (nome e dati della società); caratteristiche della produzione; emissioni; prezzo del carbonio già pagato nel Paese d’origine. Solo dopo l’entrata in vigore definitiva, dal 1° gennaio 2026, gliimportatori dovranno acquistare i relativi certificati Cbam. Proprio nel 2026 avrà inizio la graduale eliminazione delle allocazioni gratuite dei certificati Ets (Emission trading system), che oggi le aziende devono acquistare in base alle loro emissioni di CO2.
Il Cbam è «in fin dei conti una misura che riguarda il cambiamento climatico», ha detto Thomas Brinkmann, policy officer della Commissione Ue, aprendo i lavori del webinar organizzato da Siderweb. Sono 5 i punti chiave che la Commissione ha considerato nella progettazione del meccanismo: «I beni che vengono importati in Ue devono pagare lo stesso prezzo del carbonio dei produttori europei, come se fossero stati prodotti nell’Unione; il prezzo è tarato su specifiche aziende e sui loro beni, non sul Paese di provenienza; il prezzo del carbonio già pagato nel Paese di origine viene dedotto dal Cbam; il meccanismo include i settori ad alta intensità di carbonio per affrontare il rischio di “carbon leakage”; rendere il Cbam compatibile con le politiche e gli impegni legali internazionali, in particolare con le regole del Wto».
L’applicazione del Cbam è direttamente collegata alla legislazione doganale dell’Ue e le merci importate devono essere prima classificate correttamente. Questo ha sottolineato Sara Armella, dello studio legale Armella & Associati. «Deve essere eseguita una “due diligence” del prodotto da parte dell’importatore, per verificare che il codice fornito corrisponda con il codice in ambito europeo, dove vige una nomenclatura complessa e ci sono regole interpretative che devono essere tenute presenti» ha sottolineato. Inoltre, «vanno definiti strumenti contrattuali con i propri fornitori. Molto spesso ci si affida a scambi di corrispondenza molto sintetici e rapidi, via mail o anche via Whatsapp. Questo è un aspetto che dovrà essere rivisto – ha detto Armella –, perché il Cbamimpone una serie di controlli e verifiche che il produttore deve essere disposto a mettere a disposizione dell’importatore. E, appunto, vanno messi in atto strumenti contrattuali perché il fornitore sia obbligato a comunicare dati e riscontri, eventualmente supportati da certificazioni tecniche internazionali».
La complessità del Cbam «è destinata ad aumentare in modo esponenziale in futuro – ha detto il direttore generale di Federacciai, Flavio Bregant -. Oggi parliamo infatti di prodotti fatti al 100% di acciaio, ma cosa accadrà quando il meccanismo verrà esteso a prodotti realizzati solo in parte in acciaio, come per esempio un’automobile?».
Inoltre, il Cbam «coprirà solo una parte del “level playing field”. L’Europa esporta oggi il 20% della sua produzione siderurgica, una percentuale che sarà destinata ad azzerarsi. Saremo infatti decisamente fuori competizione nel mercato internazionale – ha affermato Bregant –. I volumi che esportiamo non possono essere ribaltati sul mercato interno sostituendo le importazioni, perché ricordo che il mercato europeo e, in particolare, quello italiano, importa commodity ed esporta specialty. Questo significa che le industrie produrranno meno e quindi i costi saranno più alti, e non saranno controbilanciati dal Cbam. Questo mi porta a dire che i volumi di importazione non diminuiranno, ma anzi aumenteranno. Lo stiamo dicendo da diversi mesi alla Commissione europea, che però non ha ancora fornito risposte a questo problema».
Anche gli operatori della distribuzione sono spaventati dalla complessità dell’impianto normativo del Cbam e, in particolare, della dichiarazione richiesta. «I problemi – ha sottolineato il direttore generale di Assofermet,Luca Carbonoli – risiedono nell’individuazione, lettura e interpretazione dei dati, per esempio quelli relativi alle emissioni indirette, che tra l’altro sono richiesti solo nel periodo transitorio». Si teme, poi, l’impatto sui settori a valle: «il Cbam si ferma ai prodotti di base importati e non va oltre, dunque è chiaro che tutti i settori a valle che usano acciaio per produrre manufatti, attrezzature, macchinari ecc. subiranno una crescita dei costi significativa – prosegue Carbonoli -. Abbiamo stimato un aumento del costo dell’acciaio del 15%. Ci preoccupa perché rischiamo di mettere fuori gioco una parte importante della manifattura dell’Ue. Vero è che entro il 31 dicembre 2025 la Commissione dovrà individuare i prodotti finiti sui quali applicare il Cbam e valutarne l’impatto; tuttavia, il meccanismo è talmente difficile da applicare che, se non viene semplificato, di fatto sarà impossibile applicarlo a prodotti assemblati e compositi».
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