Tasso di insolvenza in crescita in Europa

Standard & Poor’s valuta una crescita del 3,75% specie per le società con valutazione speculativo.

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Il tasso di insolvenza delle società europee con valutazionespeculative grade”, il cosiddetto livello speculativo da “Bbin giù, potrebbe salire dal 3% registrato lo scorso 30 giugno al 3,75% entro il giugno del 2024: lo afferma l’agenzia di rating Standard & Poor’s, secondo la quale, «nonostante le revisioni positive alle previsioni economiche globali dello scorso mese di marzo, il peso dei tassi d’interesse in crescita continua a salire».

Secondo la società di valutazione, «se una recessione può essere evitata, la crescita economica è ancora stagnante e gli interessi pagati per cassa sono cresciuti di circa il 15% in un anno nel secondo trimestre dell’anno e il rischio primario di alcune società europee è proprio quello di onorare il proprio debito».

Secondo gli analisti di S&P «un rallentamento prolungato della crescita o una recessione potrebbero far salire il tasso di default al 5,5% in uno scenario pessimistico» e 41 stati di insolvenza. Lo scenario base del 3,75% prevede 28 stati di insolvenza, mentre quello più ottimistico (1,75% delle società con rating inferiore a “Bb”) ne prevede solo 13. Lo scenario più pessimistico si potrebbe verificare se l’inflazione di fondo (core) dovesse rimanere elevata e le banche centrali fossero costrette ad aumentare ulteriormente i tassi.

Per S&P molte aziende possono fare leva sulla capacità di «ricorrere a saldi di cassa elevati» o di «liberare liquidità attraverso tagli alle assunzioni o alle spese in conto capitale, riacquisti di azioni o dividendi». Si tratta comunque di «opzioni generalmente meno disponibili per la maggior parte degli emittenti con rating inferiore». Lo scenario più ottimistico invece prevede «un proseguimento della resilienza economica, con un miglioramento delle condizioni di indebitamento e prezzi di mercato in grado di riflettere un consistente declino dell’inflazione sia dal punto di vista dei consumatori sia da quello dei produttori».

«Molti degli emittenti più deboli – osserva S&P – provengono da settori come quello dei beni di consumo, della ristorazione, dei media e dell’intrattenimento, e si basano su una spesa di consumo resiliente». Proprio questi ultimi potrebbero «contribuire maggiormente» alle future insolvenze. Secondo gli analisti di S&P uno dei punti chiave per le aziende che presentano condizioni creditizie più fragili è la «capacità dei consumatori di continuare a sostenere la domanda pur tra condizioni d’elevata inflazione e ridotta, seppur resiliente crescita. Quanto questo possa continuare – sottolineano – è tutto da vedere».

Tra le aziende con merito di credito inferiore, compreso tra “Ccc” e “C”, oltre la metà appartengono settorilegati alla domanda dei consumatori e dei beni strumentali. In questi settori – ricordano gli analisti di S&P – le insolvenze raggiunsero il 50% delle aziende con rating inferiore a “Ccc” nel picco della pandemia alla fine del 2020. In particolare il settore dei beni strumentali potrebbe incontrare ulteriori difficoltà se «persistessero il rallentamento economico in Cina e aumentassero le tensioni commerciali con l’Occidente».

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