Rialzo dei tassi ed inflazione: in Italia bruciati 693 miliardi di euro

Indagine di Censis Confcooperative. Gardini: «il potere d'acquisto calato di 100 mld».

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Il conto del rialzo dei tassi e dell’inflazione ha generato un insieme micidiale sulle finanze degli italiani: secondo Maurizio Gardini, presidente Confcooperative, «in Italia tassi e inflazione bruciano 693 miliardiabbassando il potere d’acquisto di 100 miliardi».

Stando al Focus Censis Confcooperative, «l’Italia fa i conti con i tassi d’interesse», riguardo ai mutui 1 famiglia su 5 ha saltato almeno una rata e il conto è salato anche per gli interessi sul debito pubblico: 90 miliardi nel 2024, saranno 100 nel 2026.

«La Bce sta provando a contrastare l’inflazione e a difendere l’euro dalla svalutazione rispetto al dollaro attraverso l’aumento dei tassi di interesse. Questa politica monetaria, però, rappresenta una tassa sul macinatoper famiglie e imprese – prosegue Gardini -. Il rialzo dei tassi di interesse e l’inflazione hanno bruciato 693 miliardi di ricchezza finanziaria delle famiglie. E nel 2022 il potere d’acquisto delle famiglie si è ridotto di 100 miliardi di euro: almeno 3.800 euro a famiglia su base annua». Praticamente due stipendi medi evaporati.

L’impatto sarebbe stato molto più pesante senza gli interventi governativi: nelle analisi operate dall’UfficioParlamentare di Bilancio, l’ammontare delle misure a favore di famiglie e imprese e di contrasto all’inflazione (riduzione accise sui carburanti, bonus sociali, esoneri contributivi, crediti d’imposta, ecc.) ha raggiunto i 119 miliardi di euro: 5,6 miliardi nel 2021, 70 miliardi nel 2022, 35,1 nel 2023, cui seguiranno altri 8,2 miliardi avranno corso nel prossimo biennio 2024-2025.

Il Focus Censis Confcooperative rileva ancora che l’esito combinato di inflazione e del rialzo dei tassi di interesse si aggiunge alla riduzione in termini reali della ricchezza netta delle famiglie che registrano un saldo tra le consistenze attive e quelle passive inferiore di quasi 700 miliardi di euro nel 2022 rispetto all’anno precedente (-14,4%).

Bolletta salata sugli interessi da corrispondere sul debito pubblico italiano balzato a 2.817 miliardi di euro (dato a maggio 2023). L’ultimo documento di Economia e Finanza (DEF 2023), prefigura nel quadro tendenziale, per il 2026, una quota di interessi passivi pari al 4,5% del Pil. Ne discende che la spesa per interessi potrebbe collocarsi intorno ai 100 miliardi di euro (40 miliardi in più rispetto al 2020). «Premesse queste – dice Gardini – che rappresentano un fardello pesante per le prospettive di crescita dei prossimi anni».

Secondo il Focus Censis Confcooperative, sono notevoli i cambiamenti nei comportamenti di spesa delle famiglie alla luce del rialzo dei tassi d’interesse. Questi ultimi hanno avuto un incremento superiore ai 200 punti base nel caso delle nuove operazioni per acquisto di abitazioni e di oltre 300 punti nel caso di nuove operazioni di finanziamento delle imprese. In sostanza, il tasso medio sul totale dei prestiti è passato dal 2,21% di giugno 2022 al 4,25% di giugno di quest’anno, sempre a seguito dei continui rialzi dei tassi di interesse decisi dalla Bce negli ultimi 12 mesi.

L’inflazione, il dopo la pandemia, le strozzature sul lato dell’offerta di beni, la tempesta dei prezzi sulle fonti di approvvigionamento per molti paesi, hanno rappresentato, indicano gli analisti, il principale fattore di incertezzain questi mesi. Al temporaneo superamento dell’emergenza bollette si è affiancato il preoccupante rincaro di tutto ciò che si presenta come spesa difficilmente sostituibile come la spesa alimentare. In termini reali fra il 2021 e il 2022 la diminuzione del potere d’acquisto, corretta con l’inflazione passata, è superiore ai sette punti percentuali. In termini assoluti, il reddito lordo disponibile delle famiglie si riduce di ben 100 miliardi di euro, in media almeno 3.800 euro a famiglia.

Il clima avverso rispetto alle decisioni di acquisto e di investimento da parte delle famiglie è confermato dall’andamento del mercato immobiliare in Italia. Secondo i dati diffusi dal Consiglio Nazionale del Notariato, rispetto allo scorso anno si registrerà una riduzione del 17,1% delle compravendite di case fra privati e del 2,5% delle compravendite delle seconde case fra privati. In generale, per quanto riguarda i fabbricati abitativi il ridimensionamento delle decisioni di acquisto si attesta intorno all’11%. Tutto ciò comporterebbe un crollo del 10,1% delle richieste di mutui per l’acquisto di abitazioni e del 9,6% nel caso in cui i mutui richiesti siano compresi fra i 50.000 e i 150.000 euro.

Da questa prospettiva occorre ricordare che in Italia, prosegue il Focus, su un totale di 25,6 milioni famiglie, 18,2 milioni sono proprietarie dell’abitazione in cui vivono (il 70,8%, dati al 2021). Di queste, al momento, 3,3 milioni di famiglie (il 12,8% sul totale) sono impegnate con un mutuo da pagare e, all’interno di questa componente, circa 700.000 hanno già mostrato difficoltà, ritardando il pagamento di almeno una rata mensile.

Anche le imprese stanno incontrando nuove difficoltà nell’accesso al credito, sebbene ancora in maniera contenuta. A marzo di quest’anno, rispetto a marzo dello scorso anno, i prestiti alle imprese del settore manifatturiero si sono ridotti dell’1,5% e nelle costruzioni dell’1,3%. Più ampia è la differenza che separa l’accesso al credito delle piccole imprese da quello delle imprese medio-grandi: per queste ultime la riduzione nel periodo è stato di sei decimi di punto, mentre per le prime ha raggiunto il 4,4%.

Nel 2022, i dati di confronto con l’anno precedente indicano una situazione ancora non particolarmente definita: i prestiti erogati da società finanziarie, ad esempio, erano cresciuti del 5,1%, ed anche nel 2023 questi operatori hanno continuato a mantenere una variazione positiva nell’erogazione dei prestiti alle imprese. Sul piano dimensionale si osserva anche una differente applicazione dei tassi di interesse rispetto a diverse tipologie di impresa. Fra le imprese rischiose, nel 2022, la differenza fra i tassi applicati a una microimpresa e quelli applicati a una grande impresa supera i due punti e mezzo percentuali (6,5% per le prime, 3,9% per le seconde); mentre fra le impresesane”, il maggiore costo del denaro a scapito delle più piccole risulta pari a ben 3,7 punti.

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