I tassi a zero sui conti correnti e grazie all’aumento del costo del denaro hanno generato extra profitti per le banche italiane per più di 25 miliardi di euro l’anno, il 76% in più di un anno fa, ovvero extra ricavi pari a oltre 11 miliardi grazie al margine d’interesse calcolato come la differenza tra tassi attivi applicati su circa 670 miliardi di depositi bancari remunerati con lo 0,32% e “impiegati” sotto forma di prestiti a famiglie e imprese, che in totale ammontano a 1.312 miliardi, sui quali il tasso medio è pari al 4,25%.
La differenza tra i tassi “passivi” riconosciuti sui depositi e quelli “attivi” praticati sui finanziamenti garantisce alle banche uno “spread” di 393 punti. Secondo il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora, «tale differenziale è il frutto delle politiche commerciali degli istituti di credito del Paese che approfittano, traendone un rilevante vantaggio, dell’aumento del costo del denaro deciso dalla Banca centrale europea, riconoscendo pochissimo, invece in termini di remunerazione, alla loro clientela. Senza muovere un dito e senza costi, le banche incassano decine di miliardi di euro. Approfittano della scellerata politica della Bce che, come denunciamo da tempo, non solo non produce gli effetti sperati sul fronte del contenimento dell’inflazione, ma sta cagionando rilevanti danni all’economia reale, con un impatto assai negativo sul credito sia in termini di maggiori interessi sia in termini di condizioni d’accesso sempre più stringenti».
Secondo il Centro studi di Unimpresa, il totale dei prestiti a famiglie e imprese, come si rileva da statistiche Banca d’Italia, ammonta a 1.312 miliardi: lo stock degli impieghi al settore privato è tenuto in piedi da varie forme di raccolta bancaria e in particolare da una parte, cioè circa 669 miliardi, del denaro depositato dalla clientela sui conti correnti che in totale è pari a 1.360 miliardi.
Nell’ultimo anno, i tassi sulla raccolta sono rimasti particolarmente contenuti: se sono progressivamente aumentati quelli offerti dalle banche sui depositi vincolati o a durata prestabilita, quelli sulla liquidità “pura” parcheggiata sui conti correnti sono saliti di pochi decimali, dallo 0,02% di giugno 2022 allo 0,32% di giugno scorso: si tratta di denaro che le banche di fatto acquistano dalla loro clientela a prezzi bassissimi per poi rivenderlo, sotto forma di prestiti, sia a imprese sia a famiglie, con un tasso sempre più alto, ormai arrivato a circa il 4,25% medio.
Ne consegue che il margine d’interesse, su un volume molto cospicuo di liquidità comprata quasi gratis e rivenduta a prezzi sensibilmente maggiorati, è enorme: in totale, calcolato in punti base, è pari a 393 ed è questo che genera, conteggiando i 669 miliardi di raccolta utilizzati per gli impieghi, più di 26 miliardi l’anno di extra ricavi, il 76% in più rispetto a un anno, fa ovvero extra profitti per le banche italiane pari a oltre 11 miliardi.
«Se pur ci appare legittimo che le banche, che non sono opere caritatevoli, debbano produrre profitto al fine di creare valore per i loro azionisti – dice Spadafora -, al tempo stesso ci piacerebbe vedere comportamenti meno spregiudicati e più attenti alle esigenze dell’economia realbe in una fase della congiuntura ancora incerta, nonostante un biennio di crescita importante. Sui conti correnti, come richiesto anche da istituzioni italiane ed europee, si può e si deve fare di più verso la clientela».
Secondo Spadafora «giovedì 27 luglio la Bce dovrebbe portare il costo del denaro dall’attuale 4,25% al 4,5%: noi non crediamo sia un’eresia pretendere che la corsa al rialzo si fermi subito, come ha in qualche modo auspicato anche il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, e non a settembre. La presidente Lagarde ascolti la voce delle Pmi». Altrimenti il rischio è vedere l’economia europea andare definitivamente in recessione.
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