Il Pnrr, sbagliato fin dalla sua origine

Giuseppi Conte vantò tronfio di avere portato sull’Italia una pioggia di miliardi, in gran parte a debito, ben sapendo che li avrebbe sprecati. Bonomi: «difficile accusare il governo Meloni, il piano è sbagliato dall’origine».

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I nodi sul Pnrr e i famosi 191,5 miliardi di euro erogati dalla Commissione europea all’Italia nel tentativo di aiutare la ripresa sociale ed economica del Paese dopo la pandemia da Covid rischiano di trasformarsi in un clamoroso boomerang economico e finanziario, perché la struttura nazionale e locale si sta dimostrando incapace di gestire rapidamente e bene tutti i piani finanziati.

Della situazione decisamente critica si è accorto anche il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, secondo cui «diventa difficile accusare questo governo di non riuscire a realizzare il Pnrr perché si tratta di un piano sbagliato all’origine. Ricordo ancora il Conte 2 e gli incontri a villa Pamphilj, non c’era visione: per arrivare ad ottenere tutte quante le risorse si sono aperti i cassetti dei ministeri e si è tirato fuori la qualunque, qualsiasi progetto c’era è stato messo dentro, senza una visione di insieme e senza un principio basilare: che ci siindebita per investire e crescere».

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Il problema è nella ripartizione dei fondi, dei 191,5 miliardi, dei quali 68,9 sono sovvenzioni a fondo perduto, mentre ben 122,6 miliardi sono prestiti a tasso ancora da definire – ma schizzato all’insù dopo le ripetute manovre rialziste effettuate dalla Banca centrale europea, che in meno di un anno è passata dal tasso 0 al 4,25% – che andranno restituiti e che devono essere spesi non in facile scialo – così come lasciano presupporre gran parte dei progetti autorizzati dal governo Conte 2 – ma in opere pubbliche e servizi che consentano una crescita stabile e duratura dell’economia nel tempo.

Da più parti si chiede di imprimere una svolta al Pnrr, accogliendo solo la parte a fondo perduto – come del resto hanno fatto tutti i paesi – e lasciando a Bruxelles la parte a debito, anche per evitare di creare le condizionidi nuovi sprechi pubblici a debito, dove per l’Italia il debito è decisamente mostruoso – oltre 2.800 miliardi – e il pagamento dei soli interessi sta diventando oltremodo difficoltoso – 100 miliardi all’anno.

Fino ad ora, l’Italia ha incassato 24,9 miliardi di prefinanziamento, la prima rata a dicembre 2021 da 21 miliardie seconda rata da 21 miliardi 30 giugno 2022, mentre la terza rata da 19 miliardi che avrebbe dovuto arrivare il 31 dicembre 2022 viaggia con 7 mesi di ritardo. Ci sarebbe poi la quarta rata, che scadeva il 30 giugno scorso, ma di cui il governo Meloni non ha ancora avanzato alcuna richiesta e, forse, non lo farà mai.

Fino ad oggi, quanto materialmente incassato66,9 miliardi – si avvicina al totale della quota a fondo perduto68,9 miliardi -. Ballano i 19 miliardi promessi ma ancora non incassati che sarebbero in gran parte a debito. Forse varrebbe la pena di fermarsi qui e di fare tutto il possibile per trasformare i soldi già incassati e in via di incasso in progetti strategici concreti, da completare entro il 31 dicembre 2026, salvo dilazioni temporali al momento non preventivabili.

Non sarebbe una vergogna rinunciare alla parte a debito, anzi: sarebbe la presa d’atto di un governo serio e conscio delle capacità della macchina pubblica che ha al suo servizio, che negli ultimi vent’anni è stata progressivamente messa fuori combattimento dai governi di sinistra e da quelli tecnici. Non sarebbe un dramma puntare a riqualificare la macchina pubblica, prima, e poi pensare a nuove spese a debito, anche andando oltreal Pnrr e alle sue pastoie burocratiche, agendo direttamente sul mercato dei finanziamenti, anche alla luce del fatto che l’Italia non è messa così male sui mercati internazionali in fatto di affidabilità creditizia.

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