Mercato auto a giugno 2023 positivo, ma in rallentamento

La crescita è del 9,2% rispetto a un 40,78% in marzo e un 29,21% in aprile. Meloni: «necessario rilanciare la produzione nazionale». Ma il fisco penalizza l’auto aziendale.

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mercato dell'auto automobili autoparco 1

In giugno 2023 il mercato auto italiano ha registrato l’immatricolazione di 138.927 autovetture con un incremento del 9,19% sullo stesso mese del 2022. Il dato è positivo, ma è anche deludente perché viene dopo ben otto crescite a due cifre con un 40,78% in marzo e un 29,21% in aprile.

«Ci si interroga per capire se la festa per l’automobile sia già finita o se il rallentamento di giugno sia solo un incidente di percorso – afferma Gianprimo Quagliano del Centro studi Promotor -. Se la festa fosse già finita saremmo di fronte ad una situazione veramente difficile. Infatti, anche ammettendo di mantenere il tasso di crescita dei primi sei mesi nell’intero 2023 otterremmo un volume di immatricolazioni di 1.619.543, un valore annuo decisamente lontano dal livello necessario per assicurare la regolare sostituzione delle auto del parco giunte a fine corsa».

Dall’inchiesta congiunturale mensile condotta dal Centro Studi Promotor a fine giugno su un campione rappresentativo di concessionari emerge che non mancano gli elementi di preoccupazione. In giugno l’86% dei concessionari interpellati valuta basso il livello degli ordini, mentre in gennaio la percentuale corrispondente era del 41%. Ciò significa che i risultati brillanti del primo semestre sono dovuti in gran parte al portafoglio ordini dilatatosi per le difficoltà di produzione delle case auto dovute alla carenza di componenti indispensabili, mentre allo smaltimento della domanda arretrata non si accompagna una crescita dell’acquisizione di nuovi ordini.

A preoccupare gli operatori del mercato auto italiano è il livello medio dei prezzi dei veicoli nuovi, decisamente alto e tale da scoraggiare la propensione all’acquisto, anche perché le case costruttrici hanno puntato la loro produzione solo sui modelli a maggiore valore e più cari, tralasciando o abbandonando del tutto la produzionedelle “vecchieutilitarie di prezzo contenuto alla portata delle masse.

Non solo: a pesare sull’andamento riflessivo del mercato c’è la marcia indietro del Parlamento rispetto alla fiscalità sull’auto che, nonostante le promesse del sottosegretario all’Economia, Massimo Bitonci, il disegno di legge sulla delega fiscale, «ha visto saltare tutte le norme relative alla defiscalizzazione dell’auto aziendale, sia in termini di detraibilità IVA che di deducibilità dei costi di acquisto e di utilizzo – denuncia il presidente di Federauto, Adolfo De Stefani Cosentino -. Su questo ultimo tema strategico per la transizione attendiamo quindi di conoscere le decisioni del Governo».

Già, perché dall’equiparazione dell’auto aziendale italiana al regime fiscale ordinario vigente da sempre in Europa ma derogato continuamente da trent’anni di governi di centro sinistra, si potrebbero strutturalmenteavere qualche centinaio di migliaia di veicoli venduti in più, con maggiori vantaggi anche per la competitivitàdel sistema economico nazionale, oltre ad avere benefici anche per i privati che, al termine dell’ammortamento, potrebbero acquistare veicoli aziendali usati di livello superiore proposti almeno 50% del prezzo del nuovo. Per non dire dell’elevazione del tetto del “fringe benefit” a 3.000 euro per i lavoratori con figli, che potrebbe rilanciare dell’auto aziendale data in utilizzo anche ai dipendenti, così come sempre accade in Europa, dove i principali acquirenti di auto nuove sono le aziende più che i singoli privati.

E mentre ci sono senatori che hanno puntato tutto sull’abolizione doverosa! – del superbollo per le auto con potenza superiore ai 185 kW – ormai alla portata anche di una vettura da 30.000 euro di valore – ben lontano dall’essere un prodotto di lusso – lo stesso premier Giorgia Meloni, in occasione dell’assemblea di Assolombarda, ha detto della necessità di rilanciare la produzione di auto in Italia, miseramente crollata a meno di 500.000 pezzi all’anno rispetto ai fasti degli oltre 2 milioni di qualche anno fa. Ma se non si miglioranole condizioni per supportare l’acquisto e la gestione delle auto, a poco serve produrne di più.

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