Meno 111 miliardi di euro: questo il saldo negativo del valore complessivo delle società italiane quotate alla Borsa di Milano. Nonostante la ripresa economica e la congiuntura favorevole, Piazza Affari ha visto crollarel’ammontare complessivo del suo listino di oltre il 18% da 618 miliardi a 506 miliardi.
Per le banche si tratta di una perdita di valore pari a 19 miliardi (-15%), mentre per i fondi esteri la “minusvalenza” è pari a 57 miliardi (-20%); le imprese hanno “bruciato” 16 miliardi (-12%), le famiglie hanno visto “sfumare” 11 miliardi (-15%) di risparmi.
Il dato è stato elaborato dal Centro studi di Unimpresa, secondo il quale i fondi stranieri rappresentano semprela maggioranza relativa del listino della Borsa di Milano, ma in forte calo rispetto al periodo 2015-2019, durante il quale la percentuale aveva “scavallato” la soglia del 50%.
«La solidità della piazza finanziaria italiana e il buon andamento dei corsi azionari sono fondamentali per accompagnare la crescita economica del Paese. La nostra sensazione è che il mercato delle quotate si stia progressivamente impoverendo e questo fenomeno è preoccupante, rappresenta un campanello d’allarme, finora colpevolmente sottovalutato dai politici e dagli addetti ai lavori – commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara -. A nostro giudizio, il governo deve favorire maggiori investimenti finanziari sia delle aziendesia delle famiglie, cominciando con interventi fiscali che cancellino le disparità di trattamento oggi esistenti tra gli investimenti in titoli di Stato, tassati al 12,5%, e le altre forme di risparmio, assoggettate a una aliquota del 26%. Occorre favorire una diversa allocazione dei risparmi degli italiani».
L’andamento fortemente negativo del valore delle società quotate non ha portato a una rilevante modifica per quanto riguarda il quadro degli assetti proprietari complessivi. Le imprese avevano il 4,36% nel 2021 e il 4,11% nel 2022, le banche sono passate dal 15,05% al 14,49%, le assicurazioni e i fondi pensione dall’1,29% all’1,24%, lo Stato dal 4,21% al 4,29%, gli enti locali dallo 0,54% allo 0,49%, gli enti di previdenza dallo 0,09% allo 0,11%, le famiglie dal 12,17% al 12,54%, gli stranieri dal 45,43% al 44,13%. I fondi stranieri, dunque, rappresentano sempre la maggioranza relativa del listino di Piazza Affari, ma in forte calo rispetto al periodo 2015-2019, durante il quale la percentuale aveva “scavallato” la soglia del 50%.
Guardando all’intero universo delle società per azioni, comprese quelle non quotate alla Borsa di Milano, si scopre che il 2022 ha portato a una riduzione complessiva del valore per 210,4 miliardi di euro (-6,99%), da 3.102,3 miliardi del 2021 a 2.801,8 miliardi. Le quote azionarie in mano alle imprese sono cresciute di 10,1 miliardi (+2,20%) da 458,9 miliardi a 469,1 miliardi; quelle delle banche sono calate, invece, di 83,3 miliardi (-20,35%) da 409,5 miliardi a 326,2 miliardi, quelle delle assicurazioni e dei fondi pensione sono scese di 5,8 miliardi (-8,27%) da 71,2 miliardi a 65,3 miliardi, quelle in mano allo Stato centrale sono invece leggermente salite di 119 milioni (+0,11%) da 112,6 miliardi a 112,7 miliardi, quelle degli enti locali sono lievemente cresciute di 34 milioni (+0,26%) restando attorno a quota 12,9 miliardi, quelle degli enti di previdenza sono salite di 1,2 miliardi (+19,32%) da 6,3 miliardi a 7,6 miliardi. Si registra un vero e proprio crollo, poi, sia per quanto riguarda le partecipazioni detenute dalle famiglie, scese di 88,1 miliardi (-6,77%) da 1.301,9 miliardi a 1.231,8 miliardi, sia per quanto riguarda le azioni rivenienti nei portafogli di investitori stranieri, calate di 44,6 miliardi (-6,99%) da 638,6 miliardi a 594,1 miliardi.
L’andamento negativo del valore delle società per azioni non ha mutato significativamente il quadro degli assetti proprietari complessivi. Le imprese avevano il 15,24% nel 2021 e il 16,74% nel 2022, le banche sono passate dal 13,60% all’11,64%, le assicurazioni e i fondi pensione dal 2,37% al 2,33%, lo Stato dal 3,74% al 4,02%, gli enti locali dallo 0,43% allo 0,46%, gli enti di previdenza dallo 0,21% allo 0,27%, le famiglie dal 43,22% al 43,32%, gli stranieri stabili al 21,20%.
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