M&A e investimenti diretti in Veneto, un bilancio tra opportunità e sfide

Al convegno dell’Ordine dei Commercialisti e Unioncamere del Veneto, presentate due analisi sulle opportunità offerte dalle operazioni di fusioni e acquisizioni. Menini (Commercialisti) “Le operazioni di M&A è essenziale che siano condotte con saggezza e attenzione, considerando l’impatto sul tessuto sociale ed economico locale, per accrescere la competitività con investimenti sostenibili”. Callegari (Unioncamere Veneto) “Abbiamo mappato le strategie di consolidamento/diversificazione dei player veneti che fanno acquisizioni come strumento di crescita per linee esterne e apprezzato la partecipazione delle nostre imprese a più ampie catene di valore”.

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Un territorio in fermento, attrattivo per gli investitori stranieri, al centro di strategie di consolidamento e diversificazione dei player veneti che fanno acquisizioni e di  partecipazione delle nostre imprese acquisite a più ampie catene di valore. È la fotografia dell’M&A in Veneto, tracciata grazie a due analisi presentate nel convegno organizzato dall’Ordine dei Commercialisti di Treviso e  Unioncamere del Veneto al Relais Monaco Country Hotel a Ponzano Veneto.

L’incontro è stato aperto dai saluti di Camilla Menini, presidente ODCEC di Treviso, di Valentina Montesarchio Vice Segretario Generale di Unioncamere del Veneto e di Domenico Tarantino responsabile struttura “Statistiche e Analisi Evoluta del Dato” di InfoCamere, seguirà la presentazione di due analisi. Ha concluso il pomeriggio una tavola rotonda sull’importanza dell’M&A per le imprese venete, con la partecipazione di Francesco Ballarin consigliere ODCEC di Treviso, Giovanni Gajo fondatore e presidente onorario di Alcedo sgr, Andrea Messuti avvocato e partner presso LCA, Stefano Stanghellini amministratore delegato di Eurochef Italia e Mario Volpe professore associato del dipartimento di economia dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Le società di capitali in Veneto interessate da processi di acquisizione maggioritaria

La prima analisi è curata da Federico Callegari responsabile Settore Studi e Statistica presso la Camera di Commercio di Treviso-Belluno e Giulia Pavan dell’area studi e ricerche di Unioncamere del Veneto, con il supporto del Centro Studi della Camera di Commercio di Treviso-Belluno e grazie all’importante lavoro di selezione dei dati curato da Infocamere sul Registro Imprese. L’osservazione si è concentrata sulle società di capitali attive in regione, interessate da processi di acquisizione totalitaria o maggioritaria nel periodo 1991-2022 (per ogni impresa è stato considerato solo il più recente evento di acquisizione tracciato). 


In Veneto sono presenti 13.567 acquisite (società di capitali attive con sede legale in Veneto, alla data del 31/12/2022 partecipate/controllate per quote superiori al 50% da imprese con sede su tutto il territorio nazionale  o estero, dove disponibile l’informazione) e 6.214 acquirenti (società di capitali attive con sede legale in Veneto che controllano, con partecipazioni superiori al 50%, imprese su tutto il territorio nazionale).

Le acquisite venete pesano per il 12,6% sul totale delle società di capitali attive in regione: ma se consideriamo gli occupati che lavorano in queste società acquisite, e sono oltre 450.000 addetti, il loro peso sale al 43,5%.

Le acquirenti hanno 262.000 addetti, ma attraverso le loro controllate, per il 15% distribuite anche in tutta Italia, si devono aggiungere ulteriori 355.000 addetti.

Guardando il valore della produzione generato nel complesso dalle società acquisite, prossimo ai 167 miliardi di euro, è emerso che il 54,6% resta in catene proprietarie auto-contenute a livello regionale, il 15,4% afferisce a catene proprietarie il cui primo o secondo nodo a monte è localizzato in altre regioni d’Italia, soprattutto Lombardia, Friuli Venezia-Giulia ed Emilia-Romagna. Infine, il 28,1% di valore della produzione che equivale a quasi 47 miliardi di euro afferisce a catene proprietarie controllate da imprese estere.

Da queste catene di controllo estere “dipendono” 116.000 addetti, il 24% del totale addetti delle acquisite, il 10% se prendiamo a riferimento il totale addetti di tutte le società di capitali attive in Veneto.

“Spostare l’analisi del tessuto imprenditoriale dall’ “unità impresa” alla catena di controllo proprietario ha diverse implicazioni importanti – spiega Federico Callegari responsabile Settore Studi e Statistica presso la Camera di Commercio di Treviso-Belluno – innanzitutto permette di mappare le strategie di consolidamento/diversificazione  dei player veneti che fanno acquisizioni come strumento di crescita per linee esterne. Permette anche di apprezzare la partecipazione delle nostre imprese a più ampie catene di valore, dove anche l’evento di acquisizione può essere inteso come segno di una distintività territoriale, che gli attori di un territorio hanno il compito di governare, replicare, evolvere. Cartina di tornasole di questa distintività sono gli stessi settori oggetto delle «campagne acquisti», anche da parte di società estere: agroalimentare, energie rinnovabili, automazioni industriali, componentistica per l’automotive (anche nella declinazione delle tecnologie per l’e-mobility, per l’interconnessione fra veicoli), elettrodomestico, apparecchi medicali, servizi ICT. Questa «campagna acquisti» avviene anche attraverso Fondi Private Equity, italiani ed esteri. Attraverso la mappatura di questi fenomeni complessi si riesce anche stimare la quota di valore della produzione che entra in queste catene con la «testa» in altre regioni d’Italia o all’estero. E, allo stesso tempo, dell’occupazione che dipende da queste catene lunghe”. 

Struttura, peso e impatto degli investimenti diretti esteri in Veneto

La seconda analisi, promossa dall’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Treviso con il centro Vera dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e presentata dal ricercatore Tullio Buccellato, rivela l’impatto degli investimenti stranieri sul tessuto imprenditoriale Veneto, con uno sguardo alla resilienza in tempo di pandemia. Il Veneto si dimostra una regione in fermento, attrattiva per gli investitori stranieri come dimostra l’analisi che ha esplorato la struttura, il peso e l’impatto degli investimenti diretti esteri sulle società di capitale attive in Veneto con almeno 10 dipendenti.

La ricerca ha preso in considerazione un totale di 18.042 imprese, di cui 993 con proprietà estera. Attraverso questi dati, l’analisi ha esaminato la struttura per nazionalità e tipologia del proprietario, misurato il peso in termini di addetti e fatturato e valutato la performance considerando la produttività e gli indicatori finanziari.

 

 

Il peso degli investimenti stranieri si è anche valutato in termini di resilienza rispetto alla crisi pandemica, utilizzando in alcune elaborazioni il caso della regione Emilia-Romagna come termine di paragone.

Gli investimenti esteri portano con sé una serie di opportunità, quali maggiore crescita, attrazione di capitali, innovazione, trasferimento tecnologico e integrazione globale. Tuttavia, vi sono anche dei rischi associati come il controllo estero, la concentrazione settoriale, possibili rischi ambientali e l’aumento delle disuguaglianze economiche.


Il 94,5% delle imprese venete hanno proprietà italiana, un dato simile a quello della vicina Emilia Romagna con il 93,4%. Invece, con riferimento ai proprietari stranieri, in Veneto si registra un 5,5%, mentre in Emilia-Romagna la presenza è superiore pari al 6,6%.

In termini di nazionalità dei proprietari esteri, la Germania emerge come il maggior investitore nel Veneto, con circa il 12% sul totale delle imprese a proprietà estera, seguita dagli Stati Uniti (10%), Lussemburgo (9%), Francia (8,3%), Regno Unito, Svizzera, Cina (circa il 6%), Austria, Paesi Bassi, Romania (4%), Spagna (3,5%), Giappone, Svezia, Belgio, Albania (2,5%). Una situazione simile è in Emilia Romagna che si differenzia per una minore presenza dell’Austria pari a circa il 2% ed una maggiore presenza degli Stati Uniti che sono a circa il 15%.

Guardando alla performance finanziaria, le imprese Venete di proprietà domestica sono leggermente più virtuose mostrando un indice di liquidità di 1,6, mentre quelle estere di 1,5. In termini di redditività del capitale proprio, le imprese domestiche hanno registrato un indice del 15,3 contro il 16,9 delle imprese estere che appaiono più performanti. L’indice di indebitamento è risultato pari a 8 per le imprese domestiche e 7 per quelle estere che si dimostrano leggermente più virtuose.

Analizzando la performance finanziaria per dimensione delle imprese, emerge che le piccole imprese di proprietà estera sono particolarmente agili, con un indice di liquidità di 1,7, redditività del capitale proprio di 21,8 e un rapporto di indebitamento di 7,1, frutto dell’effetto positivo della proprietà estera che le rende più resilienti rispetto a quelle a proprietà domestica, mentre sulle medie e grandi imprese le differenze nella proprietà appaiono meno significative.

Questo studio fornisce uno spaccato importante sull’economia veneta, mostrando come gli investimenti diretti esteri possano rappresentare una leva per la crescita, ma anche mettendo in luce la necessità di politiche attente per mitigare i potenziali rischi associati.

“La recente analisi che ha esplorato la struttura, il peso e l’impatto degli investimenti diretti esteri in Veneto – osserva Camilla Menini presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Treviso –  rivela il dinamismo e la resilienza dell’economia della regione, soprattutto in un contesto post-pandemico. Questo ci conduce a riflettere sull’importanza di adottare strategie che possano ulteriormente rafforzare l’economia locale. In questo senso le operazioni di M&A possono rivestire un ruolo importante perché permette alle imprese di accedere a nuovi mercati, di condividere risorse e competenze, e di migliorare l’efficienza operativa. Questo può essere particolarmente vantaggioso per le PMI del territorio, che spesso trovano difficile competere a livello globale a causa delle limitate risorse a loro disposizione. Accedere a nuovi capitali e know-how tramite fusioni o acquisizioni può rappresentare la chiave per l’espansione e l’innovazione. Inoltre, l’apertura della proprietà a terzi ed investitori esteri può essere una leva strategica per le imprese. Come evidenziato nell’analisi, gli investimenti esteri possono portare innovazione, capitali e opportunità di crescita.
Tuttavia – conclude Menini – è essenziale che tali operazioni siano condotte con saggezza e attenzione, considerando l’impatto sul tessuto sociale ed economico locale. I commercialisti, con la loro competenza in materia economico finanziaria, giocano un ruolo fondamentale nell’assistere le imprese nel processo di M&A, garantendo che le decisioni siano informate e allineate con gli obiettivi a lungo termine dell’impresa per orientarle  verso decisioni strategiche che non solo accrescano la loro competitività attraverso investimenti sostenibili ma contribuiscano anche al benessere economico del territorio nel suo complesso, in linea con i valori e gli obiettivi delle comunità locali.”