Ancora una volta i canali social e l’anarchia che li governa finiscono al centro dell’attenzione pubblica a seguito dell’ennesimo fatto di cronaca nera, con tanto di morto come nell’incidente a Roma tra una Lamborghinicondotta da una truppa di ventenni e un’utilitaria: si tratta di una situazione non più tollerabile, che porta ad un generale scadimento delle regole di vita, dei rapporti interpersonali, al mancato rispetto delle elementari regoledel vivere civile.
Al di la del comportamento socialmente deprecabile di coloro che mettono in atto gesti spesso demenziali se non addirittura illegali al solo scopo di accalappiare torme di beoti pronti a scolarsi di tutto e di più, non facendo altro che alimentare il circuito perverso dell’imbecillità digitale, emerge la necessità non più rimandabile di porre delle precise regole di comportamento a chi è titolare e gestore di un canale social.
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I vari You tube (Google), Facebook (Meta), TikTok e simili non possono continuare ad essere considerati una sorta di terra di nessuno, un territorio dove l’anarchia impazza, dove si mollano le briglie a chi registra il maggior numero di frequentatori senza porre in essere alcuna forma di controllo e di limite.
Le piattaforme social si sono sempre dichiarate diverse da un tradizionale strumento informativo di carattere giornalistico, soggetto a precise regole di legge civile e penale, financo di comportamento deontologico, ma così non è più anche perché cresce il numero di coloro che si informano solo attraverso i canali digitali e social.
Per evitare che attraverso le varie piattaforme social possa essere veicolato di tutto e di più nella più totale assenza di regole – che, però, ci sono, in quanto i vari moderatori stanno ben attenti a mettere mordacchie e sordine a coloro che non sono in linea con i dettami delle rispettive proprietà – è necessario estendere le regole valevoli per i giornali anche ai canali social, con la presenza di un soggetto che sia responsabile civilmente e penalmente per i contenuti veicolati, che abbia puntuale contezza di quanto viene diffuso attraverso le proprie strutture e chi ne sia l’autore.
Certo, si tratta di operazioni che costano, che rischiano di limare qualche milioncino agli utili multimiliardari dei vari Google, Meta, TikTok e similia, ma ne va del rispetto delle regole di convivenza e, poi, anche di quelle etiche. Se lor signori non si adeguano spontaneamente, così come finora non hanno fatto, è necessario che qualcuno provveda, mettendo sullo stesso piano di diritti e doveri tutti gli operatori dell’informazione.
Ultima riflessione per quegli sponsor che sull’altare di qualche click e like legano l’immagine della loro attività a comportamenti da beoti, triviali, incivili e financo illegali. Non serve a nulla cancellare la loro adesione o condivisione a danno fatto, dovrebbero anche loro prevenire e puntare a legare il loro nome a protagonisti meno idioti. Sempre che non siano anche loro al medesimo livello.
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