Le PMI italiane hanno una visione ancora acerba della DEI e una concezione poco moderna dei temi di inclusione e valorizzazione delle diversità. È quanto emerge dalla ricerca “Diversità, Equità, Inclusione nelle PMI italiane” che Valore D ha commissionato a Nomisma su un target di oltre 500 piccole e medie aziende per comprendere il loro approccio verso le tematiche DEI e mappare le iniziative adottate.
L’indagine evidenzia un’importante distanza culturale nell’approccio alle tematiche DEI tra Piccole e Medie imprese, specchio diretto della sensibilità su questi temi da parte della dirigenza e che l’approccio all’inclusività è spesso frutto della soggettività del singolo e della propria esperienza personale. L’importanza di perseguire obiettivi di sostenibilità economica, sociale ed ambientale e di adottare azioni concrete per favorire questi aspetti è prevalentemente «teorica» e la mappatura delle iniziative messe in atto rivela un approccio molto semplificato.
Molte le realtà che non ritengono di aver bisogno di iniziative DEI e che non individuano alcun vantaggio nell’adottarle, non hanno all’interno una figura dedicata né un budget allocato. Limitata la presenza femminile e scarsa la conoscenza della certificazione di genere tra le aziende intervistate.
Say-Do-Gap
Tra gli elementi principali emersi dalla ricerca si evidenzia una divergenza tra teoria e pratica nell’affrontare le tematiche di D&I
Nonostante una crescente attenzione verso gli ambiti che riguardano la sostenibilità, questa non si traduce in priorità di business per le aziende. Infatti, per il 20% delle PMI questi aspetti rivestono un ruolo secondario e per il 21% non hanno alcun ruolo.
Analizzando in profondità, il 59% delle PMI adotta iniziative concrete a favore di diversità e inclusione ma le dimensioni aziendali influiscono sull’approccio a questi temi: quelle di dimensioni più ridotte adottano nel 61% dei casi iniziative singole, mentre le medie tendono ad avviare con maggiore frequenza (nel 72% dei casi) veri e propri percorsi strategici.
In generale, infatti, le PMI hanno difficoltà a percepire i vantaggi nel lungo periodo collegati alle iniziative DEI, considerate secondarie o non importanti dal 41% degli intervistati. Solo il 16% ha al suo interno una figura dedicata alla gestione DEI, poco diffusi anche i responsabili degli aspetti di sostenibilità (35%), mentre la figura del responsabile risorse umane è presente in 1 PMI su 2.
Nelle imprese che non hanno figure specifiche dedicate a trattare questi aspetti, la gestione è affidata alla dirigenza aziendale (titolare/imprenditore, amministratore delegato, direttore generale nel 44% dei casi) mentre per circa 1 PMI su 3 non è prevista una delega specifica. Il 72% delle PMI non ha attualmente, e non lo prevede in futuro, un budget dedicato a queste tematiche numero che sale all’80% per quanto riguarda le piccole imprese.
Andando nel dettaglio, solo il 16% delle PMI (12% piccole e 23% medie) ne prevede uno nei prossimi 12 mesi.
Spunti di riflessione emergono anche dall’analisi dei motivi del mancato ricorso a iniziative DEI. Se la dimensione aziendale rappresenta il primo ostacolo (citato da 1 PMI su 2), non sono da trascurare altri aspetti. Il 37% degli intervistati non ritiene di aver bisogno di simili iniziative, 3 medie imprese su 10 non individuano alcun vantaggio derivante dall’adozione di iniziative a favore della diversità, equità e inclusione, mentre il 14% delle piccole imprese non ci ha mai riflettuto.
Si evidenzia pertanto la mancanza di una visione moderna dell’inclusione e della valorizzazione delle diversità; in molti casi le azioni intraprese si limitano ai temi del welfare e della conciliazione vita privata-lavoro; restano ai margini i programmi di formazione per la costruzione di una cultura aziendale, meno di 1 azienda su 3 fa formazione sui temi DEI o networking con altre realtà.
Certificazione e presenza femminile
L’indagine condotta da Nomisma ha preso in esame anche il tema della parità di genere. Il 63% delle PMI conosce l’esistenza di una certificazione: il 21% sa di cosa si tratta, mentre il 42% ne ha solo sentito parlare. Ad oggi la quota di PMI che ha ottenuto la certificazione è ancora minuscola (1% tra le medie imprese), ma 1 azienda su 3 potrebbe richiederla già nel prossimo anno.
Infine, il campione intervistato evidenzia una scarsa presenza femminile a livello apicale: nel 16% delle PMI non ci sono donne in queste posizioni e nel 57% delle PMI le donne in posizioni apicali sono meno del 25%.
“Lo studio ci esorta a intensificare le attività di sensibilizzazione sui temi di inclusione e valorizzazione delle diversità sul tessuto produttivo del nostro Paese, composto in prevalenza da piccole e medie imprese” – commenta Barbara Falcomer, direttrice generale Valore D – “È necessario aumentare la consapevolezza e fare cultura di quanto la diversità sia un tema di strategia competitiva per ogni azienda, vanno raccontati i vantaggi legati a queste tematiche, a partire dalla certificazione. Le imprese che promuovono l’equilibrio di genere con azioni mirate intraprendono un percorso di cui beneficia anche il sistema Paese, creano le condizioni per reali pari opportunità e quindi per una maggiore occupazione femminile.”
“Lo studio condotto per Valore D è stata l’occasione per definire e mappare la sensibilità delle PMI verso i temi della diversità, equità e inclusione e individuare i gap da colmare per facilitare la creazione di una vera e propria cultura aziendale ‘DEI’, che possa diventare una nuova opportunità di crescita e sviluppo del business” – commenta Valentina Quaglietti, head of Customer Observatories di Nomisma – “Accanto alle richieste di mercati e finanza, il recente impianto disegnato dalla Direttiva CSRD conferisce nuova centralità alla sostenibilità. A questo riguardo, l’attività sviluppata da Nomisma sulle tematiche ESG fornisce non solo un punto di osservazione privilegiato sull’evoluzione dello stato dell’arte ma consente anche di supportare le imprese nella messa a punto e implementazione di nuovi data point, strumenti di monitoraggio, processi e valutazioni come elementi imprescindibili nelle proprie strategie di sostenibilità”.
“La ricerca di Valore D relativa all’impatto dei fattori di diversità, equità e inclusione sulle PMI rivela un’importante connessione, destinata a crescere nel tempo, tra queste variabili e il successo a lungo termine delle aziende: il rispetto dei valori etici e sociali si traduce, infatti, in una gestione aziendale più efficace e resiliente. Nelle dinamiche interne, l’adozione di politiche e pratiche che favoriscono la diversità e l’inclusione contribuisce fortemente migliorare e rendere più efficiente la governance aziendale, aumentando la rappresentanza dei diversi punti di vista nel processo decisionale e riducendo il rischio di conformismo e “pensiero di gruppo”. Quale riflesso sul mercato, la promozione di un ambiente inclusivo che accolga differenti generi, etnie, abilità e background culturali permette di ottenere migliori risultati finanziari e di attrarre gli investitori, attenti alle aziende socialmente responsabili – commenta Ilaria Antonella Belluco, partner della sede di Padova dello studio legale e tributario CBA che ha collaborato all’organizzazione dell’evento del 19 giugno di presentazione della ricerca – Come avvocato che segue operazioni di diritto societario e fondi di investimento assisto all’evoluzione, lenta ma costante, delle nostre PMI che, sulla scia delle grandi società, iniziano ad elaborare ed adottare strategie mirate per promuovere la diversità e l’inclusione all’interno delle proprie organizzazioni. Tuttavia, è essenziale che questo impegno sia sostenuto da azioni concrete e misurabili, come l’implementazione di programmi di formazione sulla consapevolezza e la creazione di piani di sviluppo per garantire l’equa rappresentanza dei diversi gruppi all’interno delle strutture decisionali. Si tratta di elementi fondamentale non solo per il successo a lungo termine ma soprattutto per la permanenza delle imprese sul mercato, sempre più orientato, anche grazie alle politiche di investimento dei fondi istituzionali, a far crescere esponenzialmente le imprese virtuose e privare via via di attenzioni quelle che non siano riuscite a creare un ambiente inclusivo, equo e che tuteli le diversità, ponendo al centro delle strategie di business il capitale umano, con un ritorno comprovato in termini di solidità e redditività”.