Carne sintetica: per Slow Food non è soluzione ad una domanda insostenibile

Nappini: «occorre mangiarne meno, scegliendola in modo più consapevole e assicurando un allevamento sostenibile».

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Carne sintetica tassa sulla carne carni rosse 1 1

La carne sintetica su cui stanno investendo miliardi le multinazionali secondo Slow Food non è la soluzione ad una domanda di proteine animali destinata a raddoppiare entro pochi anni: per il presidente del sodalizio, Barbara Nappini, «il problema non si risolve passando dagli allevamenti intensivi ai laboratori per la produzionedi carne sintetica, ma basterebbe ridurre il consumo di carne nei Paesi del Nord del mondo, dando concretezza alla auspicata transizione proteica».

Per Slow Food è necessario mettere in discussione le abitudini di consumo: «non vi è alternativa, occorre mangiarne in minore quantità, scegliendo la carne in modo più consapevole, puntando su un modello sostenibile che rimetta in equilibrio allevamento e agricoltura, animali e terra, che metta al centro la fertilità del suolo e il rispetto per gli animali – insiste Nappini – e anche la tutela della biodiversità dei pascoli, la cura delle aree montane e la rigenerazione delle terre di pianura, riscoprendo la coltivazione e il consumo dei legumi».

Slow Food Italia, che ha appena pubblicato un documento in cui fa il punto sul consumo di carne, ricorda che in Italia questo si attesta intorno ai 79 kg annui a testa, inferiori a Paesi come Stati Uniti, Australia, Spagna e Germania, ma quasi il doppio della media mondiale, che nel 2014 era stimata in 43 kg. Secondo l’associazione, il modello intensivo non solo «ha tolto gli animali dal pascolo e li ha privati della libertà e costretti a esistenze di sofferenza, ma ha richiesto enormi quantità di mangimi, per ottenere i quali si coltivano milioni di ettari di suolo agricolo o di aree deforestate, provocando serie conseguenze dal punto di vista ambientale, sfruttando risorse preziose (suolo e acqua in primis) e contribuendo alle emissioni climalteranti».

Ma, come detto, secondo Slow Food, la soluzione non sta nella carne sintetica: «il cibo è cultura, non è un semplice carburante per far funzionare l’organismo, somma algebrica di proteine, grassi e carboidrati. Con la carne coltivata si perderebbe definitivamente il legame tra il cibo e il luogo in cui viene prodotto, le conoscenzee la cultura locali, il sapere e le tecniche di lavorazione».

Non solo: «i bioreattori dove si moltiplicano le cellule staminali richiedono grandi quantitativi di energia» e i principali soggetti coinvolti nello sviluppo di carne in laboratorio «sono gli stessi che dominano la filiera della carne, dalla coltivazione della soia utilizzata come mangime fino alla commercializzazione e distribuzione, e puntano semplicemente a un nuovo grande business, seguendo le stesse logiche e gli stessi strumenti (brevetti e monopoli)».

Slow Food sottolinea che «dal 1960 a oggi la produzione di carne è aumentata di cinque volte e, secondo la Fao, potrebbe raddoppiare entro il 2050. Le conseguenze sono gravi per tutti: per la nostra salute, per il clima, per il nostro pianeta, per il benessere degli animali, portando ad una profonda trasformazione dell’allevamento, che si è specializzato, slegato dalla terra e trasformato in industria, connesso a sua volta a doppio filo alla diffusione delle monocolture (innanzi tutto soia, mais) e di pratiche agricole che deteriorano la fertilità del suolo, compattandolo e inquinandolo con fertilizzanti chimici e pesticidi. La maggior parte della soia e del maiscoltivati nel mondo sono destinati alla zootecnia e sono Ogm».

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