La maggiore autonomia per le regioni che la chiedano ai sensi dell’art. 116, 3 comma, della Costituzione è un procedimento avviato sul binario giusto e che si concluderà con la sua approvazione entro il 2023: ne è convinto Roberto Calderoli, ministro degli Affari regionali e delle autonomie, esponente di lungo corso della Lega, prima Nord e poi Salvini premier, che in quest’intervista a “il NordEst Quotidiano” tenta di fare luce sulle questioni che da più parti si sollevano per cercare di frenare il treno autonomista.
Ministro Calderoli, nelle ultime settimane sulla proposta di legge di maggiore autonomia si è assistito ad attacchi di tutti i generi che hanno cercato di minarne il percorso.
Si tratta di normale dialettica parlamentare, con i tentativi di rallentare il percorso da parte di chi non ne condivide il contenuto e, cosa più negativa, da parte di quelle parti dell’apparato statale che vedono nella maggiore autonomia un attacco alle loro prerogative. Io non sono così negativo, anzi: inizio a intravvedere la luce del tunnel del percorso autonomistico dopo 22 anni dall’approvazione della riforma costituzionale voluta dal centro sinistra. Certo, la norma scritta nella Costituzione prevederebbe un percorso semplificato, passante attraverso una preintesa tra regione e stato da approvare poi in Parlamento, ma la cosa non è così scontata, anzi è a serio rischio di sgambetto da parte di quei parlamentari che, seppur non contrari a prescindere, non hanno interesse nella norma e sono, per così dire, disattenti e distratti, con il rischio che alla votazione finale possa venire a mancare il numero legale per la sua approvazione, che deve avvenire a maggioranza assoluta degli aventi diritto, non a maggioranza semplice.
Intanto, il procedimento è incardinato e in settimana saranno avviate le audizioni in commissione.
Sì, il governo Meloni e la Lega hanno mantenuto le promesse, con l’approvazione del testo della proposta di legge avvenuta entro la fine del 2022 e, poi, con l’avvio delle procedure parlamentari per arrivare alla sua approvazione. In commissione sono già previste 56 audizioni, dove tutte le parti in causa potranno esprimere il loro parere e, mi auguro, portare a miglioramenti e ad una condivisione più larga possibile del provvedimento. Certo, ci sono stati e probabilmente ci saranno ancora tentativi di rallentare se non di fermare il provvedimento, ma ora questo è lanciato sul binario giusto. Io, in tutti questi anni di politica, ho le spalle grosse per andare avanti fino alla fine, senza fughe in avanti, ma passetto dopo passetto, per centrare il risultato finale di concedere la maggiore autonomia alle regioni che la chiedano.
Come si giustifica che alcune regioni, con il governo Gentiloni, avevano chiesto maggiore autonomia che oggi rifiutano, come l’Emilia Romagna o la Campania?
L’autonomia differenziata nasce da una riforma della Costituzione voluta dal centro sinistra e nessuno oggi può dire che la maggiore autonomia sia incostituzionale, anzi. Il problema è squisitamente politico, perché quando le norme sono fatte da una maggioranza di centro sinistra queste sono sempre utili e belle, mentre quando le propone il centro destra diventano brutte e incostituzionali. Non ci si dimentichi che il governo Gentiloni a guida centro sinistra, dopo il referendum autogestito di Veneto e Lombardia del 22 ottobre 2017, avanzò in tutta fretta una proposta di intesa con la regione Emilia Romagna guidata dal governatore Dem Stefano Bonaccini, che è finita in un nulla di fatto, nemmeno arrivata alla discussione in Parlamento. Certo, oggi fa specie che proprio lo stesso Bonaccini sia decisamente tiepido sulla proposta di riforma che il governo di centro destra sta portando avanti nel pieno rispetto del dettato costituzionale e del diritto di uguaglianza tra tutti i cittadini del Paese.
Come intendete assicurare quest’uguaglianza?
Tramite l’approvazione contemporanea alla norma della maggiore autonomia dei livelli minimi di assistenza e dei fabbisogni standard, per cui ad ogni cittadino della Repubblica vengono assegnati gli stessi servizi e i fondi per finanziarli. Certo, poi sta ai governi locali attuare le loro competenze, spendendo le risorse stanziate che, lo ripeto, sono certe e sicure per tutti i cittadini senza alcuna distinzione. Proprio nella capacità di spesa e di gestione dei servizi pubblici da parte dei governi locali c’è la sfida della maggiore autonomia, che metterà alla prova la capacità di governo e di gestione della classe politica locale. Io sono fiducioso: in almeno 15 regioni questa capacità c’è ed è dimostrata. Le altre cinque hanno tutto il tempo e le risorse per migliorare e uguagliare, se non superare, le migliori.
Una volta assicurate le risorse, il problema è la loro spesa, anche in realtà ritenute efficienti come l’Emilia Romagna, dove i fondi statali per la prevenzione delle calamità ambientali del periodo 2021-2022, pari a 71,9 milioni di euro, sono stati spesi solo molto parzialmente, tanto che la regione ne ha restituiti allo stato ben 55,2 milioni.
Premesso che non conosco nel dettaglio i numeri dell’Emilia Romagna, è un problema che l’Italia sconta a tutti i livelli e che è la sua maggior difficoltà: l’incapacità di spendere rapidamente e bene tutti i fondi disponibili, sia a livello dell’amministrazione centrale dello stato che a livello locali. Dal recuperare una maggiore capacità di spesa c’è la possibilità di fare crescere l’economia nazionale e locale, specie al Sud. Si pensi che negli anni Cinquanta del secolo scorso il Pil delle regioni del Mezzogiorno era il 52% di quello nazionale, salito al 60% negli anni del boom economico, per poi stabilizzarsi al ribasso al 56,2% negli ultimi vent’anni. Da una maggiore autonomia, cosa che implica anche maggiori responsabilità e maggiore capacità di governo della classe politica locale, dipende la crescita dell’economia a tutti i livelli, locale e nazionale. Ma il problema della capacità di spesa, oltre alle regioni, riguarda soprattutto l’amministrazione centrale dello stato che spende, rispetto alle regioni, troppo e male. Tanto per fare un esempio, negli ultimi 10 anni la spesa per il personale dello stato è cresciutadell’1,3%, mentre quella delle regioni è calata del 10%. La spesa per l’acquisto di beni e servizi è cresciuta del 14% nell’amministrazione centrale, mentre è calata del 15% nelle regioni, con un differenziale del 29%, decisamente alto. Non solo: dei 126 miliardi disponibili per il settennato 2014-2020, tolti i 10 miliardi impegnati per l’emergenza Covid, dei 116 miliardi rimanenti ne sono stati spesi solo il 34% del totale pari ad oltre 80 miliardi. Di questi, 30 miliardi sono in capo ad alcune regioni, mentre ben 50 miliardi non sono stati spesi dall’amministrazione centrale.
Ministro Calderoli, per ovviare alle oggettive difficoltà di tante amministrazioni locali nell’attuare la spesa dei fondi pubblici – e lo si vede anche nella gestione dei fondi straordinari del Pnrr –, non sarebbe possibile istituire una qualche forma di tutoraggio per accompagnare la crescita amministrativa e gestionale delle realtà in difficoltà?
Stabilire una forma di tutoraggio per legge è impossibile, perché cozzerebbe contro l’autonomia delle singole regioni. Rimane la possibilità di seguire l’esempio delle realtà più virtuose, che sono già note e apprezzate, e sforzarsi di mettere in campo le soluzioni corrette già sperimentate sul campo. Qualche regione in difficoltà potrebbe chiedere forme di consulenza e di supporto per migliorare le proprie procedure a quelle realtà che sono più avanti, ma deve essere un processo da sviluppare autonomamente, senza alcuna forma di obbligo.
Tra coloro che avanzano critiche al processo di maggiore autonomia, c’è la questione che il governo Meloni ha scelto una procedura più complessa ed articolata rispetto a quella indicata dalla Costituzione.
Abbiamo preferito una strada più lenta e più complessa che passa prima attraverso la definizione dei livelli minimi di assistenza e dei fabbisogni standard proprio per mettere tutti sullo stesso livello e allo stesso punto di partenza, per evitare che qualcuno poi potesse dire che si mettevano in atto discriminazioni e penalizzazioni. Con la maggiore autonomia tutti partono dallo stesso punto; starà poi alla capacità delle singole realtà decidere quale gara fare, 100, 200 o 400 metri, mezza o intera maratona. Inoltre, personalmente sto realizzando un’operazione trasparenza per dire ad ogni regione quanti fondi ha incassato negli ultimi anni e come sono stati spesi, evidenziando così le capacità di realizzazione e di spesa di ogni singola realtà che sarà poi chiamata a correre la gara della maggiore autonomia, sempre che la si voglia percorrere.
La maggiore autonomia non è esclusiva delle regioni ordinarie, ma anche delle cinque speciali che potranno anch’esse chiedere competenze non previste dai loro statuti.
Sì, è un aspetto fondamentale della norma che il Parlamento approverà entro la fine del 2023 per poi andare a definire le singole intese nel 2024. Con la procedura individuata, se una regione a statuto speciale vede che tra le materie oggetto di devoluzione non sono contenute nel suo statuto vigente, può chiedere al governo di attuare il processo di concessione che poi andrà sottoposto a votazione parlamentare. Si tratta di un percorso semplificato rispetto alle procedure costituzionali standard di revisione degli statuti speciali, che dimezzano di fatto i tempi della procedura. Poi, c’è anche il vantaggio di poter sperimentare le nuove competenze, visto che la delega ha una durata di vent’anni. Se si vede che la nuova competenza assegnata non è efficace come si credeva, si può sempre restituirla all’amministrazione centrale, così come la si può rendere definitiva con la modifica dello statuto. Mi pare un passo avanti per dare ai governi locali, anche quelli autonomi, maggiori competenze e, soprattutto maggiori responsabilità.
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