A cinque anni e mezzo dal referendum autogestito del 22 ottobre 2017 per la maggiore autonomia riconosciuta alle regioni che la richiedano ai sensi dell’art. 116 della Costituzione così riformata dai governi di centro sinistra, il progetto di autonomia differenziata proposto dal governo Meloni e dal ministro leghista alle Riforme, Roberto Calderoli, parerebbe avviato sul binario morto della palude politica.
A dar manforte a tutti i fautori dell’opposizione alla riforma si è aggiunta una “manona” ignota che alberga nel servizio Bilancio del Senato che ha diffuso inopinatamente una bozza di valutazione sugli effetti che il nuovo assetto istituzionale comporterebbe sulle regioni e sullo stato, preconizzando uno scenario decisamente negativo che ha soddisfatto i contrari alla riforma e fatto solennemente incazzare lo stesso Calderoli e pure gran parte della Lega salviniana che sulla riforma va a corrente alternata.
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Negli stralci riportati dalle agenzie dello studio del servizio Bilancio del Senato che mette in guardia su alcune criticità del ddl Autonomia, dopo essere stato pubblicato sul sito, l’ufficio stampa di palazzo Madama, in una nota, ha detto che si trattava solo di «una bozza provvisoria», non ancora verificata, «erroneamente pubblicata online» con tanto di scuse «con la stampa e con gli utenti per il disservizio arrecato».
Secondo alcuni settori dell’opposizione la “svista” è stata interpretata come un’operazione tutta interna alla maggioranza – in particolare a Fratelli d’Italia, da sempre tiepida sulla riforma – per rallentare il provvedimento voluto in primo luogo dalla Lega, specie dai suoi maggiorenti locali, anche se dalla stessa maggioranza ci si affretta a smentire tale scenario.
Comunque sia, secondo lo studio del servizio Bilancio del Senato, il rischio più grande connesso alla proposta Calderoli di autonomia differenziata sarebbe l’aumento della disparità economiche tra le regioni, che si tradurrebbe in aumento delle disuguaglianze. In primis si evidenzia un pericolo proprio per il funzionamento del Paese. Se «un consistente numero di funzioni oggi svolte dallo Stato», si legge ancora, venisse trasferito alle regioni con «le relative risorse umane, strumentali e finanziarie», «ci sarebbe una forte crescita del bilancio regionale ed un ridimensionamentodi quello statale, col rischio di non riuscire a conservare i livelli essenziali delle prestazioni presso le regioni non differenziate»: più soldi alle regioni potrebbe significare meno liquidità da gestire per lo Stato e per i suoi mandarini.
A farne le spese sarebbero le regioni più povere, quelle, prosegue il servizio Bilancio, «con bassi livelli di tributi erariali maturati nel proprio territorio, potrebbero avere maggiori difficoltà a finanziare, e dunque ad acquisire, le funzioni aggiuntive». Inoltre, il trasferimento delle nuove funzioni amministrative a comuni, province e città metropolitane da parte delle regioni differenziate potrebbe «far venir meno il conseguimento di economie di scala, dovuto alla presenza dei costi fissi indivisibili legati all’erogazione dei servizi la cui incidenza aumenta al diminuire della popolazione».
Dallo Svimez, da sempre contrario al progetto di riforma dell’autonomia differenziata del ministro Calderoli, una nota di soddisfazione: «lo trovo assolutamente condivisibile, propone osservazioni rilevanti: non solo non possono essere cancellate, ma vanno portate all’attenzione del Parlamento che sta esaminando il disegno di legge Calderoli – dice Luca Bianchi, direttore generale di Svimez -. Una bocciatura che non stupisce, perché i tecnici ragionano con dati alla mano, hanno la responsabilità di valutare cosa sarà della coesione del Paese, del funzionamentodella pubblica amministrazione e dei servizi da erogare ai cittadini, dopo tale “spacchettamento” di materie».
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