Debito pubblico italiano: una gestione sempre più delicata

Secondo Unimpresa, dei 2.800 miliardi in totale, 1.172 devono essere rinnovati entro la legislatura del governo Meloni.

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La gestione del debito pubblico italiano si fa sempre più delicata e dei 2.800 miliardi in totale, ce ne sono 1.172 miliardi (pari al 42,3% del totale) di titoli di Stato da rinnovare e rifinanziare da oggi fino alla fine del 2027, anno in cui arriverà a termine questa legislatura, che ricadono sotto la responsabilità del governo Meloni.

Secondo un report del Centro studi di Unimpresa, queste cifre sono destinate a crescere, se si considerano le emissioni di breve termine, in particolare i Bot con pochi mesi di vita gestiti periodicamente dal Tesoro, spesso per esigenze di cassa. «Nel lungo piano delle scadenze di obbligazioni statali, però, c’è una pericolosa incognita, rappresentata dai tassi d’interesse e dal costo del denaro. La crescita dell’inflazione ha spinto la Banca centrale europea ad aumentare il tasso base, con sette rialzi da luglio 2022, fino al 3,75% determinato il 4 maggio scorso» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora, secondo il quale «tutto questo potrebbe far impennare la spesa per interessi a carico dello Stato».

La spesa per interessi è una voce del bilancio che si è attestata a 83,2 miliardi nel 2022 e dovrebbe calare a 75,6 miliardi nel 2023, per poi salire progressivamente nel triennio successivo a 85,1 miliardi (2024), 91,6 miliardi(2025) e 100,6 miliardi (2026). Una crescita che non sarà solo in termini assoluti, ma anche percentuali: se, infatti, il costo per il servizio del debito è stato pari al 4,4% del Prodotto interno lordo nel 2022 e ripiegherà al 3,7% nel 2023, successivamente salirà, secondo quanto riportato nell’ultimo Documento di economia e finanza, al 4,1% del Pil nel 2024, al 4,2% nel 2025 e infine al 4,5% nel 2026. Previsioni che potrebbero essere riviste al rialzo se la politica monetaria nell’eurozona fosse ancora a lungo restrittiva.

«La Bce determinerà un aumento dei profitti per i sottoscrittori del debito pubblico del nostro Paese. E uno degli aspetti principali è capire chi compra i titoli emessi dal Tesoro: ci limitiamo a dividere gli investitori in due categorie, da una parte i detentori italiani, dall’altra gli stranieri» spiega Spadafora.

A gennaio 2021, su un totale di debito pari a 2.679 miliardi, il 70,8% era in mano a soggetti italiani, mentre il 29,2% faceva capo a soggetti esteri; già nel 2022, dopo appena 12 mesi, si è registrata una ritirata, parziale, degli stranieri, scesi al 26,8% e poi ancora più giù al 26,5% a gennaio scorso. Un cambio di direzione che con ogni probabilità va motivato soprattutto con il quadro politico incerto del biennio scorso e un pizzico di fiduciavenuta meno. I prossimi mesi, quindi, diranno se il governo Meloni è stato capace di rasserenare i mercati finanziari internazionali.

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