L’Italia tra 20 anni con 7 milioni di persone in meno in età da lavoro

Pesa calo nascite. Tridico: «avremo un occupato per pensionato». Fortissimi problemi di sostenibilità del carico pensionistico.

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L’Italia tra 20 anni si avvia verso uno scenario di pesante spopolamento, specie di persone in età di lavoro, con una popolazione che invecchia progressivamente, facendo emergere il problema della sostenibilità del carico pensionistico.

L’andamento demografico si ripercuote anche sul mercato del lavoro e sul sistema pensionistico: con questo andamento, in Italia tra 20 anni le persone in età da lavoro (tra i 15 e i 64 anni) saranno 6,9 milioni in meno rispetto ad oggi. E contestualmente salirà di 4,8 milioni l numero degli anziani che percepiscono una pensione.

A tratteggiare lo scenario al 2043 dell’Italia è l’ultima ricerca realizzata dalla Fondazione Di Vittorio della Cgil, “L’Italia tra questione demografica, occupazionale e migratoria”. Una dinamica con ricadute su più fronti, anche previdenziale, come rimarca lo stesso presidente dell’Inps, Pasquale Tridico.

In prospettiva, il differenziale demografico e tra entrate e uscite dal mercato del lavoro «produce meno occupati e più pensionati – afferma Tridico -. In venti anni rischiamo di avere un rapporto troppo vicino a uno tra un pensionato e un lavoratore attivo. Dobbiamo invece avere un rapporto pari a 1,5 per stare su un crinale di sostenibilità» del sistema previdenziale. È essenziale evitare questa criticità, attraverso «una spinta forte verso la natalità» e l’occupazione di donne e giovani.

Secondo Tridico è necessario ragionare anche sulla questione dei flussi: i migranti «contribuiscono alla sostenibilità del sistema, perché sono prevalentemente lavoratori attivi», evidenziando che oggi contribuiscono per 11 miliardi alla spesa pensionistica, usufruiscono di prestazioni pensionistiche per 1,2 miliardi e prestazioni non pensionistiche per 3,3 miliardi l’anno. «Quindi c’è un attivo a favore dell’Italia di 6-7 miliardi l’anno» evidenzia Tridico, anche se altri studi affermano giusto il contrario, in quanto l’immigrazione aggiungendoanche tutte le prestazioni di carattere sociale, specie se si considerano anche le ricongiunzioni dei nucleifamiliari e dei parenti più prossimi – ai quali, come spesso capita, scatta l’erogazione della pensione sociale per garantire loro la sussistenzaandrebbe a pesare sulle casse pubbliche più di quanto versa.

Probabilmente, per invertire stabilmente la curva demografica bisognerebbe intervenire sul dare maggiorigaranzie occupazionali e di reddito ai giovani, facilitando anche la coniugazione tra lavoro e maternità delle donne, con maggiore ricorso al lavoro a tempo parziale o da remoto, assicurando la presenza dei servizi pubblicia favore delle famiglie. Nelle realtà dove questi esistono, come in Trentino Alto Adige o in Friuli Venezia Giulia, l’andamento demografico è già oggi positivo, anche se può essere migliorato ulteriormente, con l’obiettivo di almeno due figli per donna, meglio se tre.

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