La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha deciso ieri la questione di interpretazione che gli era stata sottoposta dal TAR Puglia, confermando interamente l’impianto della direttiva Bolkenstein del 2006 e l’interpretazione della precedente sentenza Promoimpresa del 2016.
I temi sollevati dal TAR Puglia mettevano in discussione la direttiva a trecentosessanta gradi e potenzialmente erano in grado di scardinare l’intero sistema della concorrenza nei servizi.
I giudici italiani, infatti, mettevano in dubbio la stessa validità della direttiva, la sua applicabilità diretta nell’ordinamento nazionale, la vincolatività di questa per le amministrazioni e – da ultimo – il presupposto della scarsità della risorsa, da tempo valorizzato per escludere l’applicazione della direttiva nel nostro ordinamento per la peculiarità del territorio nazionale.
Tutti i temi sollevati, però, sono stati respinti. La validità della direttiva relativa ai servizi nel mercato interno è stata confermata e altrettanto vale per la sua immediata applicabilità nell’ordinamento interno. Altrettanto confermato, poi, l’obbligo di applicare tra i potenziali candidati una procedura di selezione imparziale e trasparente e il divieto di rinnovo automatico.
Sul tema della scarsità della risorsa, poi, l’apertura della Corte è più apparente che reale: il fatto che la Corte di giustizia ammetta contemporaneamente un approccio generale a livello nazionale e un approccio specifico a livello locale, basato sull’analisi delle aree costiere del comune, non sembra offrire particolari margini di manovra considerato che, secondo la stessa sentenza, questa valutazione deve avvenire sul presupposto di criteri obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati.
L’obiettivo del tavolo tecnico previsto dal decreto Milleproroghe di instaurare un “doppio binario” fra concessioni, giustificato dalla sussistenza o meno della scarsità delle risorse è quindi vincolato da questi criteri. È confermata, comunque, la rilevanza dell’operazione di mappatura che costituisce, comunque, il presupposto per lo stesso avvio delle gare.
Il quadro nel quale dovrà muoversi il Governo, quindi, ha conseguito un punto fermo definitivo sul piano giudiziario e la strada per percorrere soluzioni alternative all’adeguamento alla direttiva Bolkenstein previsto dalla legge concorrenza 2021, poi rinviata dal decreto milleproroghe, è diventata ancora più stretta.
La soluzione auspicabile sembra quindi il ritorno alla delega del 2021 sugli affidamenti che, oltre a prevedere criteri e principi di ampio favore per i concessionari uscenti nel rispetto delle indicazioni del Consiglio di Stato, prevedeva la possibilità di deroghe al codice della navigazione che aprivano alla possibilità, in una prospettiva imprenditoriale, di applicare il codice dei contratti e, quindi, il partenariato pubblico-privato con rapporti di concessione di durata significativa, anche pluridecennale, naturalmente proporzionata agli investimenti programmati e, quel che più conta, con riconoscimento del diritto di prelazione al proponente.
La precondizione necessaria, però, sembra essere un reale cambio di prospettiva degli operatori uscenti che porti ad abbandonare la logica di pura conservazione dell’esistente, che è stata perseguita fino ad ora.
Non sembra verosimile, infatti, quella situazione di oligopolio per cui i detrattori della Bolkestein prevedono la gestione delle spiagge in mano a gruppi stranieri. Più probabile è una prospettiva di sviluppo del settore caratterizzata dall’aggregazione tra imprese già operanti nel mercato e finalizzata a condividere i servizi per ridurre i costi di gestione e conseguire così una maggiore efficienza e, in prospettiva, migliori livelli qualitativi e riduzione dei prezzi per l’utenza.
Così è avvenuto in Veneto, dove l’applicazione di una legge regionale che, in attuazione della direttiva Bolkenstein, ha introdotto profili di concorrenzialità nel rilascio delle concessioni, ha visto l’assegnazione di queste a precedenti concessionari che si erano aggregati fra loro.