Pesto dei due mondi: sequestrati alla veronese Giovanni Rana oltre 7 tonnellate di salsa

Secondo gli ispettori doganali, il prodotto non sarebbe conforme alle norme di etichettatura europea. Prodotta in Usa da uno stabilimento del gruppo con basilico genovese

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Quanto accaduto al porto di Genova con il sequestro di 7.184 kg di salsa di pesto prodotta nello stabilimento di Chicago del gruppo della veronese Giovanni Rana si potrebbe a buon diritto definire il “Pesto dei due Mondi”, visto che il basilico prodotto in Liguria sarebbe stato spedito per la lavorazione oltreoceano per poi tornare nella sede italiana del gruppo a San Giovanni Lupatoto nel Veronese per poi essere confezionato a marchio Kirklandper poi essere destinato alla vendita in Francia e in Spagna nella catena di Cotsco, colosso americano dell’hard discount.

Il “Pesto dei due Mondi” prodotto dal gruppo Giovanni Rana sarebbe stato bloccato perché non conforme allenorme europee sull’etichettatura dei prodotti alimentari, oltre ad essere in stridente contrasto con il fenomenodell’“italian sounding”, speculazione che frutta un danno di oltre 100 miliardi di euro alla produzione veramente nazionale, con tutto quel che ne consegue. Gli 800 fusti di prodotto grezzo sono depositati per il momento nei locali delle autorità sanitaria di frontiera e dell’Agenzia delle Dogane di La Spezia.

Il pesto, seppure appartenente a uno dei marchi italiani più noti nel settore della pasta specie quella fresca ripiena, il celebre “Giovanni Rana” portato alla ribalta proprio per le pubblicità con protagonista il fondatore, è stato prodotto negli Stati Uniti, nella periferia di Chicago, dove è attivo uno stabilimento del gruppo veronesedal 2012.

I 7.184 chili di pesto italoamericano sono oggetto di un contenzioso amministrativo giudiziario che dovrà essere risolto dai giudici del Tar Liguria dove è stato presentato il ricorso dal produttore, la “Rana meal solutions” (azienda del gruppo Giovanni Rana con sede a Chicago) contro il provvedimento di sequestro del 27 gennaio 2023, data in cui il dirigente sanitario e il direttore dell’Ufficio posto controllo frontaliero di Genova hanno decretato «la non ammissione nel territorio comunitario» del carico di “Basil pesto-100% imported italian dop genovese basil” destinato a essere venduto in Francia e in Spagna, con il marchio Kirkland, nella catena Cotsco.

Le autorità che hanno verificato il carico hanno forti dubbi su quello che, nella filiera messa in piedi dall’impresa Giovanni Rana, rappresenta il cliente finale, ossia la multinazionale statunitense dell’hard discount “Costco”, che vende, nelle sue filiali francesi e spagnole, a marchio Kirkland, il pesto prodotto in America da Rana con il marchio Dop e la scritta sull’etichetta con l’indicazione: “Basil pesto. 100% Imported italian basil Dop – Genovese Basil”, con un chiaro riferimento all’origine totalmente italiana del prodotto.

Secondo gli ispettori del ministero che hanno effettuato il sequestro, il problema è che l’etichetta con i riferimenti al basilico 100% italiano e genovese mal si concilia col fatto che il carico sia arrivato da Chicago: per questo hanno vietato l’ingresso del pesto Kirkland in quanto «non conforme per controllo identità non soddisfacente ai sensi del regolamento Ue 625/2017», che disciplina i controlli sugli alimenti.

I legali del gruppo Rana hanno contestato il provvedimento affermando, fra le altre cose, «la totale genericità» dell’addebito: «non è dato capire in cosa il controllo non sarebbe stato soddisfacente». Secondo la società tutto sarebbe trasparente e nel pieno rispetto delle norme: «basilico genovese spedito in Usa e poi rientrato sotto forma di salsa per il mercato di Francia e Spagna di una catena americana».

In attesa del verdetto dei giudici amministrativi, rimane di tutta evidenza come, nell’epoca della lotta alla decarbonizzazione, si faccia viaggiare per il mondo con annessi sprechi di energia per i mezzi di trasporto e con conseguenti inutili emissioni di CO2, merce che potrebbe essere validamente lavorata in loco, per di più valorizzando agli occhi del consumatore il valore del prodotto in Italia, anche a vantaggio della filiera produttiva e di trasformazione nazionale. Uno spiacevole scivolone da parte del gruppo Giovanni Rana che pare essersi allineato agli speculatori dell’“italian sounding”.

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