Per anni si è sentito parlare ossessivamente di “spending review”, ovvero di revisione della spesa pubblica e del contenimento degli oneri necessari per il funzionamento della pubblica amministrazione, ma i risultati conseguiti sono stati deludenti se non del tutto inesistenti.
Se dal 1995 i consumi intermedi sono in costante crescita, negli ultimi 10 anni hanno subito un’impennata addirittura del 27% (in valore assoluto pari a +24,3 miliardi di euro), mentre l’inflazione, sempre in questo stesso periodo, è salita “solo” del 14%. Insomma, l’Italia non riesce a spendere completamente i fondi ordinari di coesione europea o quelli straordinari previsti dal PNRR, ma per mantenere in “moto” la macchina pubblica si spende sempre di più, come conferma l’indagine effettuata dall’Ufficio studi della Cgia.
Nel 2022 la spesa per il funzionamento record, doppia rispetto agli investimenti pubblici
Il 2022 è stato l’anno record: la spesa complessiva per il mantenimento della struttura statale ha raggiunto i 115,2 miliardi euro, una soglia mai toccata prima. Un importo, quest’ultimo, più del doppio dei 51,5 miliardiche la pubblica amministrazione ha speso nel 2022 per gli investimenti che servono a realizzare o implementarei servizi (impianti e macchinari nell’istruzione, sanità, trasporti, etc.), costruzioni e opere di pubblica utilità(ospedali, scuole, asili, infrastrutture viarie) e ad acquisire prodotti di proprietà intellettuale (ricerca e sviluppo, software, etc.).
Va comunque sottolineato che a spingere al rialzo i costi di mantenimento, in particolar modo negli ultimi anni, ci ha pensato il Covid e, recentemente, anche il caro bollette. Con l’avvento della pandemia, ad esempio, tra il 2020 e il 2021 la spesa sanitaria è salita di 4 miliardi di euro, mentre le altre principali voci in uscita non hanno subito variazioni significative.
Incide molto la sanità
Rispetto ai principali Paesi UE, la spesa per il funzionamento della pubblica amministrazione era nel 2021 pari al 6,2% del Pil, in linea con quella tedesca (6,3% del Pil), ma leggermente superiore a quella spagnola (5,9%) e decisamente più elevata di quella francese (+5,1% del Pil). Rispetto a tutti gli altri Paesi analizzati, l’Italia si differenzia per una spesa dei consumi intermedi della sanità particolarmente elevata (2,5% del Pil), rispetto a quella spagnola (2%), francese (1,1%) e, in particolar modo, tedesca (0,8%).
La spesa italiana non è elevatissima, visto che è superiore alla media europea di soli 0,2 punti percentuali di Pil, tuttavia, se si tiene conto della qualità e della quantità dei servizi resi ai cittadini e alle imprese, il costo di funzionamento della pubblica amministrazione non appare per nulla giustificato: più di 6 punti di Pil è veramente troppo.
Le prime 10 voci costituiscono il 70% della spesa totale
Dalla disaggregazione delle principali voci di spesa dei consumi intermedi, si evince che nel 2021 (ultimo anno in cui questi dati sono disponibili), i servizi ospedalieri (acquisto di beni e servizi del sistema sanitario) ammontano a 19,8 miliardi, i servizi ambulatoriali (acquisto beni e servizi delle strutture non appartenenti al sistema ospedaliero) e la protezione ambiente (gestione dei rifiuti) entrambi con 10,1 miliardi di euro. I prodotti medicinali, le attrezzature e gli apparecchi terapeutici sono costati 7,7 miliardi, mentre le spese per l’amministrazione, il funzionamento e il supporto degli organi esecutivi e degli organi legislativi, fiscali, etc., ammontano a 6,1 miliardi. Le prime dieci voci di spesa dei consumi intermedi incidono per il 70% circa del totale.
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