Il debito pubblico italiano tocca un nuovo record storico a quota 2.772 miliardi di euro e la gestione dei conti pubblici si fa sempre più delicata, con i partiti che devono frenare la loro “fame” di nuova spesa, spesso clientelare ed improduttiva come il reddito di cittadinanza o il Superbonus 110%.
A pesare sui conti pubblici sono tanti i fattori: il fabbisogno è in aumento, anche a causa delle minori entrate e dell’impatto di cassa dei bonus edilizi del governo Conte e della maggioranza M5s-Pd che hanno già superato di tre volte le previsioni di spesa, con i costi di rifinanziamento del debito pubblico italiano che sono sempre più alti, con rendimenti intorno al 4% dovuti ai rialzi dei tassi decisi dalla Bce.
Secondo la nota mensile della Banca d’Italia l’indebitamento dello Stato ha raggiunto a febbraio un nuovo record: 2.772 miliardi di euro, superando quello di luglio scorso (2.770 miliardi), con una crescita di 21,6 miliardi rispetto a gennaio, dovuto principalmente al fabbisogno che sale (12,9 miliardi) e all’incremento delle disponibilità liquide del Tesoro (8,6 miliardi).
La Banca d’Italia sottolinea inoltre come abbia contribuito l’effetto complessivo di scarti e premi all’emissione e al rimborso dei titoli di Stato, della rivalutazione di quelli indicizzati all’inflazione e della variazione dei tassi di cambio (0,1 miliardi). Un quadro appesantito anche dal calo del 3% delle entrate tributarie (1,1 miliardi) rispetto a febbraio del 2022.
Per le associazioni dei consumatori la situazione diventa allarmante: il nuovo record si traduce in «un indebitamento da infarto, pari a 46.960 euro per ogni cittadino, cifra che per una famiglia diventa addirittura 105.778 euro» spiega Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori.
Il problema per l’Italia è costituito dall’enorme costo di gestione del debito pubblico, che al momento s’aggiraattorno agli 80 miliardi di euro all’anno spesi in interessi pagati sui titoli di Stato, cifra destinata a crescere nel breve periodo visto che la politica della Banca centrale europea guidata da Christine Lagarde dei continui rialzidei tassi non è destinata a cambiare, con l’obiettivo di arrivare al 5% entro il prossimo luglio.
Se poi arriva un’altra tempesta sui costi dell’energia – e l’Arera prevede un rincaro del 25% nella seconda metàdel 2023 – è probabile che il costo per le casse dello Stato crescerà ulteriormente, così come peseràdecisamente i costo della rivalutazione delle pensioni per il 2024, senza considerare il costo del rinnovo dei contratti scaduti del pubblico impiego, con i sindacati che premono per recuperare almeno l’inflazione, cosa che comporterebbe una spesa di almeno 30 miliardi.
Più che a preoccuparsi di come allocare ogni miliardo che fortunosamente salta fuori dalle pieghe di bilancioper una crescita del Pil superiore al previsto, la politica – e i leader dei tre partiti di maggioranza del governo Meloni – farebbe meglio a studiare come ridurre strutturalmente la spesa pubblica che nel 2022 ha superato di slancio la soglia dei 1.000 miliardi. Il premier Giorgia Meloni, da madre di famiglia, è chiamata a dimostrare di essere anche una buona madre pro tempore della grande famiglia Italia, dopo i lustri dello scialo facile e dissennato che in vent’anni hanno aumentato di quasi 1.000 miliardi il debito pubblico italiano.
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