La proposta lanciata dal senatore Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia di tutelare per legge l’utilizzo della lingua italiananella pubblica amministrazione e negli enti economici dello Stato italiano ha sollevato il classico polverone da parte dei soliti noti, preoccupati di non potere più fare testa-coda tra le parole, magari fondendo tra loro diversi idiomi, specie di origine inglese, con il risultato di vedere testi scritti ma anche dialoghi dove le parole non italiane sonodecisamente molte, troppe: di qui una legge per la difesa della lingua italiana.
La proposta non è affatto priva di fondamento, non fosse altro che da tempo immemore la Francia tutela il proprio idioma nazionale con tanto di una commissione che conia nuove parole in francese per non dover utilizzare quelle estere, proibite negli atti pubblici.
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Anche in Italia si può fare qualcosa a difesa della lingua italiana, a partire da un maggiore utilizzo del cervello, sforzandosi con un pizzico di impegno nel declinare lemmi esteri nella lingua nazionale. Troppa fatica? Non ci pare proprio.
Poi, non si deve trascurare il fatto che l’italiano è, a livello internazionale, la quarta lingua più studiata al mondosecondo l’ultimo rapporto del 2019, superando perfino il tedesco e il francese: a costoro che si avvicinano all’italiano tocca proprio agli italiani essere i primi ambasciatori dell’utilizzo corretto e consapevole del proprio idioma azionale.
Non saranno le multe fino a 100.000 euro proposte nella legge presentata da Rampelli a spaventare gli incorruttibilidel politicamente corretto e della spinta alla fusione tra lingue e culture nel tentativo di annullare qualsiasi specificità. Anzi, a tutti costoro sarebbe opportuno prevedere un’ipotesi aggravata, con il raddoppio della sanzione e la sospensione dal proprio incarico e stipendio per 2 mesi filati senza alcuna condizionale in caso di recidiva.
La difesa della lingua italiana non è assolutamente una battaglia di retroguardia o, peggio di destra: la lingua è il primo simbolo di una nazione che va adeguatamente protetto, tutelato e curato, magari ampliandone l’estensioneanche coniando nuovi lemmi per accogliere nuovi processi evolutivi, specie nel campo delle tecnologie, anche se già ora esistono facili e immediati sostitutivi nella lingua di Dante senza ricorrere sempre e comunque a quella di Shakespeare.
Un problema, però, la proposta del senatore Rampelli la causa e proprio al suo collega di partito Adolfo Urso che, da neo ministro, ha pensato bene di ribattezzare il ministero dello Sviluppo economico in quello delle Imprese e del Made in Italy. Anche qui, con un pizzico di lungimiranza e di buona volontà si sarebbe potuto tranquillamente chiamarlo “ministero delle Imprese e del prodotto italiano”, così come sarebbe opportuno affiancare sempre e comunque alla definizione internazionale del “Made in Italy” anche quella del “Prodotto in Italia”. Troppo difficile? Lo Schiacciasassi spera di no.
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