L’evasione fiscale in Italia è stata sconfitta?

Secondo la Cgia nel 2022 maggior gettito da 98,6 miliardi di euro.

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evasione fiscale

E’ stata finalmente cancellata l’evasione fiscale? La domanda-provocazione l’ha lanciata l’Ufficio studi della CGIA che, sulla base dei dati presentati nelle settimane scorse dal ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e dall’Agenzia delle Entrate, ha ricordato che l’anno scorso l’erario ha incassato, rispetto al 2021, 68,9 miliardi in più di entrate tributarie e contributive, ha recuperato 20,2 miliardi di evasione e ha “bloccato” 9,5 miliardi di frodi.

Questo maggior gettito ammonta complessivamente a 98,6 miliardi di euro. Un importo che ha una dimensione leggermente inferiore alla stima dell’evasione fiscale e contributiva presente in Italia che, secondo le stime, ammonterebbe attorno ai 100 miliardi di euro.

Una provocazione con un fondo di verità

Si può affermare che l’evasione fiscale è stata azzerata? Certamente no, sebbene si sia imboccata la strada giusta per la sua progressiva riduzione. Infatti, una quota preponderante dei 68,9 miliardi incassati in più sono riconducibili al buon andamento dell’economia verificatasi l’anno scorso che include un importo – sicuramente contenuto, ma ogni anno in costante aumento – ascrivibile agli effetti della “compliance” fiscale. Dunque, si può dire che un fondo di verità c’è.

C’è chi continua a non pagare (e ad evadere)

Se si tiene conto degli effetti riconducibili alla fatturazione elettronica, allo “split payment” e all’attività di controllo praticata dal fisco attraverso l’incrocio dei dati presenti nelle proprie banche dati, rispetto a qualche anno fa gli evasori hanno la vita più dura. Certo, non tutti. Chi è completamente sconosciuto al fisco continua imperterrito a farla franca, così come le organizzazioni criminali di stampo mafioso che sempre con maggior dedizione seguitano a coltivare i propri traffici illegali. Poco “sensibili” alla fedeltà fiscale lo sono anche quelle multinazionali e i giganti del web che, in Italia, realizzano profitti miliardari, ma la stragrande maggioranza delle imposte le versano nei paesi a elevata fiscalità di vantaggio, molti dei quali all’interno dei confini dell’Unione europea.

La riforma fiscale del governo Meloni

In attesa di poter disporre di ulteriori informazioni sul testo appena approvato dal governo Meloni, per l’Ufficio studi della CGIA una riforma fiscale che abbia l’ambizione di definirsi tale deve, innanzitutto, indicare preventivamente quanto costa e dove si recuperano le coperture, dopodiché ha il compito di conseguire, in tempi ragionevolmente brevi, almeno altri tre obiettivi di fondo: la riduzione del carico fiscale a famiglie e imprese; la semplificazione del rapporto tra il fisco e il contribuente e la riduzione dell’evasione e dell’elusione fiscale.

Il mancato raggiungimento di questi punti costituisce un serio pericolo che la stessa sia destinata a fallire o comunque non in grado di dare una seria risposta alle tante istanze sollevate dai contribuenti che da tempo chiedono un fisco più equo e meno complicato.

Lo sforzo fiscale delle imprese è al massimo

Le imprese italiane sono tra le più tartassate d’Europa. Nel confronto con i principali Paesi UE, purtroppo, la percentuale del gettito fiscale riconducibile alle aziende italiane sul totale nazionale è nettamente superiore, ad esempio, a quella tedesca, francese e spagnola.

Se nel 2020 in Italia ha raggiunto il 13,5% (garantendo un gettito di 94,3 miliardi di euro) in Germania era al 10,7% (144, 8 miliardi di imposte versate), in Francia al 10,3% (108,4 miliardi versati) e in Spagna al 10,1% (41,7 miliardi di gettito). Rispetto alla media europea l’Italia sconta oltre 2 punti percentuali in più di prelievo.

Ulteriore elemento che conferma l’elevato livello di tassazione sulle imprese italiane emerge dal confronto delle principali aliquote che gravano sul reddito imponibile delle società. Se in Italia si attesta al 27,9%, tra i principali competitor la Francia è al 25,8% e in Spagna al 25%. Tra i grandi solo la Germania, pari al 29,8%, sconta un livello superiore a quello italian. Rispetto alla media europea, in Italia l’aliquota è superiore di ben 6,7 punti. Ben altra cosa rispetto alla fiscalità di vantaggio dell’Irlanda (12,5%) o del 10,9% dell’Ungheria o il 10% della Bulgaria, che finiscono per essere molto attraenti per le imprese italiane.

L’infedeltà fiscale è più diffusa al Sud

Sebbene gli ultimi dati disponibili dell’Istat siano riferiti al 2020, anno fortemente condizionato dall’emergenza pandemica, la percentuale dell’economia non osservata sul valore aggiunto regionale registrava le soglie più elevate nel Mezzogiorno. Se in Sicilia si attestava al 16,8%, in Puglia al 17%, in Campania al 17,7% e in Calabria che, con il 18,8%, continua a essere la regione più a rischio evasione d’Italia. Le realtà più fedeli al fisco, invece, erano il Trentino con il 9%, la Lombardia con l’8,4% e, la meno interessata da questo triste fenomeno, l’Alto Adige con un’incidenza dell’8,2%. La media nazionale si fermava all’11,6%.

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