Italia incapace di spendere presto e bene: a rischio 20 miliardi di fondi europei

La Cgia denuncia il rischio di perdere il 46% dei fondi di coesione stanziati dall’Ue. A rischio anche i fondi straordinari del Pnrr.

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Italia incapace di spendere presto e bene: dei 64,8 miliardi di euro di fondi europei di coesione messi a disposizione del Paese nel periodo 2014-2020, di cui 17 di cofinanziamento nazionale, la spesa complessivacertificata da Bruxelles al 31 dicembre 2022 è stata di 35 miliardi, pari al 54% dell’ammontare totale che include anche la quota sostenuta a livello nazionale.

Il problema è che, entro il 31 dicembre 2023, data di scadenza di attuazione di questo settennato, l’Italia deve spendere i restanti 29,8 miliardi (pari al 46% della quota totale), di cui 10 miliardi sono di cofinanziamento nazionale. Se non si riuscirà a centrare questo obiettivo, la quota di fondi UE non utilizzatati andrà persa, con Bruxelles che riassegnerà i fondi non spesi dall’Italia ad altri paesi più virtuosi.

Secondo l’Ufficio studi della Cgia, a rischio c’è una buona parte dei 19,8 miliardi che Bruxelles ha messo a disposizione dell’Italia da almeno nove abnni. Le ragioni di questa difficoltà nell’utilizzare i soldi europei è nota da tempo. L’Italia sconta, innanzitutto, una grossa difficoltà di adattamento della pubblica amministrazione (non merita il maiuscolo…) alle procedure imposte dall’UE. Inoltre, la macchina pubblica presenta livelli di qualitàdei servizi resi ai cittadini e alle imprese decisamente modesti e un’efficienza che può contare ancora su ampimargini di miglioramento. Il personale, soprattutto dell’area tecnica, ha retribuzioni basse e, spesso, risulta, anche per questa ragione, poco motivato. Specificità che caratterizzano, in particolar modo, i dipendentipubblici delle regioni e degli enti locali del Mezzogiorno dove sono presenti i maggiori quantitativi dei fondieuropei.

Dei 19,9 miliardi di euro di risorse europee che l’Italia dovrebbe spendere entro la fine del 202315,3 sono in capo allo Stato centrale (Progetti PON, FESR e FSE) e 4,6 alle regioni. Insomma, sarebbe sbagliato “prendersela” solo con le amministrazioni periferiche; la necessità di investire nel personale pubblico riguarda, purtroppo, tutti i livelli.

Come era prevedibile sono a rischio anche i fondi del PNRR. In attesa della presentazione del nuovo stato di avanzamento da parte di Italia Domani, secondo la Nota di aggiornamento al DEF (Nadef), presentata il 27 settembre scorso, entro il 31 dicembre 2022 si dovrebbe aver speso 20,5 miliardi di euro, praticamente la metàdei 41,4 miliardi previsti inizialmente dal DEF. In questo caso, l’aumento del costo dei materiali avvenutonell’ultimo anno ha frenato enormemente la realizzazione di molte opere pubbliche, facendo “saltare” molti obiettivi previsti dal PNRR.

Italia incapace di spendere presto e bene: tornando ai dati relativi ai Fondi di coesione, al 31 dicembre 2022, dei 21,2 miliardi finanziati dall’UE gestiti dalle regioni nel settennio 2014-202016,6 sono stati spesi e gli altri 4,6 dovranno esserlo entro il 2023. Le amministrazioni regionali più in difficoltà sono quelle del Mezzogiorno. Entro la fine del 2023, pena la perdita delle risorse, la Puglia deve spendere altri 335 milioni di euro, la Calabria 616 milioni, la Campania 1,27 miliardi e la Sicilia addirittura 1,45 miliardi. In buona sostanza, al 31 dicembre scorso, la percentuale di spesa realizzata sul totale da ricevere era solo del 65,5% in Calabria, del 65,7% in Campania e del 64% in Sicilia. Proprio le realtà che più strillano contro l’autonomia differenziata, argomentando la possibile perdita di riscorseeconomiche provenienti dalla solidarietà delle regioni più efficienti e ricche. Dinanzi a questi risultati di spesadei fondi europei, i presidenti di queste regioni farebbero meglio a stare zitti e aumentare la loro efficienza amministrativa, perché i soldi li hanno, ma non li sanno spendere presto e bene a favore delle loro popolazioni.

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