Se il Mezzogiorno va male e arranca nelle posizioni di coda della ricchezza nazionale ed europea, buona partedella responsabilità si deve all’incapacità degli amministratori locali di spendere le risorse disponibili, che spesso rimangono inespresse, come dimostra la relazione sullo stato di attuazione delle politiche di coesione europea e nazionale presentata dal ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, secondo cui nella programmazione 2014-2020 sono state spesi solo il 55% dei fondi di coesione UE disponibili, a fronte di una media europea del 69%.
Secondo il rapporto presentato dal ministro Fitto, sommando fondi strutturali (Fse e Fesr), il relativo cofinanziamento nazionale e il Fondo sviluppo e coesione (nelle sue due articolazioni Poc, cioè Piani operativi complementari, e Psc, i Piani sviluppo e coesione), alla fine di ottobre 2022 i pagamenti sono fermi al 34%. Su 126,6 miliardi ne sono stati spesi solo 46,1.
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Nel caso specifico dei fondi di coesione Ue, per i quali l’Italia ha un obbligo di rendicontazione finale al termine del 2023, la spesa complessiva da realizzare fino a dicembre è pari a 29,9 miliardi di euro (46% del valore delle risorseprogrammate). Si tratta di riuscire a rendicontare in un anno all’incirca quanto fatto dal 2015 a oggi.Praticamente una missione impossibile.
Invece di lamentarsi contro l’autonomia differenziata perché, agli occhi degli amministratori del Mezzogiorno – e non solo – questo sarebbe una ferita alla solidarietà nazionale, è facile rispondere che per il Sud non è una questione di disponibilità di soldi, ma di capacità di spesa, ovvero di capacità della classe politica meridionale a tutti i livelli nel fare programmi, progetti e trasferire dalla carta ai cantieri i fondi disponibili. E lo stesso vale per i fondi del Pnrr che, su quasi 200 miliardi disponibili di fondi in gran parte a prestito, il 40% è vincolato a spesanelle regioni del Mezzogiorno.
Se le realtà del Sud Italia non riescono a spendere i fondi europei ordinari, ci si può immaginare cosa potràsuccedere per quelli straordinari del Pnrr, co il rischio di buttare nel cesso risorse prese a debito da tutti gli italiani dall’Europa.
Più che protestare verso una maggiore assunzione di responsabilità da parte delle regioni che la chiedono, ipolitici del Sud farebbero meglio ad andare a lezione dai loro colleghi settentrionali e imparare come si amministra la cosa pubblica. E in caso contrario, lo Stato avrebbe il dovere di esercitare i propri poteri sostitutivi, nominando commissari straordinari per trasformare i finanziamenti ordinari e straordinari focalizzatisul Mezzogiorno in opere pubbliche e servizi reali. Tutto il resto è solo chiacchiere, operazione in cui tanti, troppi eccellono, specie al Sud.
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