Crisi dell’editoria: crolla il numero di copie di giornali vendute

Sempre più a rischio la qualità e l'indipendenza delle notizie. Crescono i canali digitali.

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La crisi dell’editoria è sempre più forte causa il calo delle risorse pubblicitarie che arrivano al settore e il crollo delle vendite in edicola e negli abbonamenti.

Nonostante gli attacchi all’indipendenza dell’informazione procurati da molte parti politiche ed economico che non hanno mai posto particolare attenzione ai problemi del settore, a partire da una legge obsoleta e ormai inadeguata alle mutate esigenze del settore, oltre ad essere in contrasto con il diritto costituzionale alla libera espressione delle opinioni dei cittadini, l’informazione non è morta continua ad evolversi in nuove modalitàspesso improvvisate e poco garantite come quelle veicolate attraverso canali social.

In questo contesto, il lavoro di chi opera nell’informazione è fondamentale, a partire dalla qualificazione e aggiornamento continuo di chi fa il giornalista, che non deve più essere solo colui che è in possesso di un tesserino professionale, ma una persona che scrive notiziecommenti ed approfondimenti in possesso di una propria professionalità, magari pure accompagnata dalla proprietà di linguaggio e di scrittura nella lingua nazionale.

Il problema di fondo è di assicurare al settore adeguate risorse, perché la produzione e circolazione di informazione di qualità è fondamentale per assicurare il pieno diritto di cittadinanza e l’esercizio della politica.

Secondo la Fieg, la federazione degli editori, le vendite in edicola sono passate dai 6 milioni di copie a 1,5 milioni odierni, con un fatturato di settore passato dai 7,2 miliardi del 2005 ai 2,9 miliardi di del 2022. Parallelamente, sono cresciute a dismisura le persone che cercano informazione sui canali digitaliben 43 milioni.

Sarebbe opportuno che il Dipartimento dell’editoria assicurasse al comparto dell’editoria digitale la sicurezza di accesso ai finanziamentiagendo sia sul fronte dei grandi operatori del digitale che approfittano a piene mani dei contenuti prodotti per introitare pubblicità salvo distribuire le briciole a coloro che ne sopportano i costi. Qualcosasi sta muovendo, ma troppo lentamente e a partire sempre dai grandi editori, quando la diffusione del digitale hacapovolto i protagonisti, con tanti giornalisti disoccupati che si sono inventati un’attività editoriale spesso di qualità, ma che non riesce a decollare proprio per la difficoltà di accesso agli introiti stabili da pubblicità.

L’altra azione per combattere la crisi dell’editoria sarebbe di istituire l’obbligo di riserva di una percentuale del totale dell’investimento pubblicitario veicolato dagli enti pubblici e dai grandi centri media ai piccoli editori indipendenti del digitaleunico settore che oggi ha reali possibilità di crescita. Lo stabilire, così come oggi avviene per le radio, una percentuale del 10-15% di riserva della spesa pubblicitaria al settore dell’informazione digitale indipendente potrebbe essere una soluzione a costo zero per il bilancio dello Stato, ma darebbe un forte impulso alla crescita di un settore come quello giornalistico che dal 2005 ha perso oltre 8.000 addetti su un totale di 18.000 soggetti attivi.

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