Elezioni regionali: oltre al centro destra, vince l’astensionismo

In Lombardia e Lazio i candidati sono oltre quota 50%, ma deve preoccupare la fuga dalle urne che raggiunge quota 60%.

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Questa puntata di “Focus” di “ViViItalia Tv”, condotta dall’esperto in comunicazione e analisi politica, Gianfranco Merlin, e dal direttore della Web Tv e de “il NordEst Quotidiano”, Stefano Elena, analizza il risultato delle elezioni regionali in Lombardia e Lazio che hanno coinvolto circa un quarto dell’intero corpo elettorale nazionale.

Dalle elezioni regionali scaturiscono due dati inconfutabili: il primo è la netta vittoria del centro destra che stacca di anche 20 punti la coalizione di centro sinistra, condannando le velleità del terzo polo del duo Calenda Renzi e dei M5s di Giuseppi Conte all’inussistenza. L’altro è il clamoroso risultato dell’astensionismo, che si porta al 58,32% in Lombardia e a ben il 62,8% in Lazio, di fatto accendendo una seria ipoteca sul mantenimento della partecipazione democratica al voto.

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Il problema del fortissimo astensionismo – che s’innesta nell’astensionismo già fatto registrare alle regionali dell’Emilia Romagna di Bonaccini – apre per le segreterie dei partiti e per i governatori usciti vincitori dalle urne una questione affatto trascurabile, visto che la base elettorale su cui i vincitori possono contare è circa il 20% dell’intero corpo elettorale, decisamente troppo poco.

Si apre la necessità di porre mano al sistema elettorale regionale e pure al “porcellumnazionale, rimettendo nelle mani degli elettori il potere di effettiva scelta di chi votare, togliendolo dalle grinfie delle segreterie di partito che hanno utilizzato i sistemi vigenti solo per puntellare il proprio potere, spesso traballante, infarcendo le liste bloccate solo di fedelissimi spesso inconsistenti e privi di reale capacità gestionale e, pure, politica. L’esempio è il meccanismo elettorale dei sindaci, con l’introduzione del voto di preferenza e il ballottaggio tra i due migliori candidati che non abbiano superato il 50% dei voti al primo turno.

Se Giorgia Meloni – che esce oggettivamente rafforzata dal voto regionale a pochi mesi dal clamoroso successo delle politiche del settembre 2022 – non pone rapidamente mano al sistema elettorale, è possibile che anche la sua proposta di riforma costituzionale in direzione del presidenzialismo – scenario condivisibile – oltre a poter essere stoppata dal Quirinale, possa essere fermata dagli elettori sempre più lontani dalle urne e, quando vi si avvicinano, desiderosi di punire chi non li ascolta.

Il voto delle elezioni regionali di Lombardia e Lazio evidenzia anche un altro aspetto, affatto trascurabile: seppur in leggera risalita rispetto al risultato delle politiche dello scorso settembre, la Lega Salvini premier dimezza in cinque anni il risultato in Lombardia, largamente superata da Fratelli d’Italia che quasi la doppia, mentre rimane una mera testimonianza nella cavalcata nazionalista che ha fruttato nel Lazio poco più l’8%, risultato quasi simile a Forza Italia, ma staccata di ben 4 volte da Fratelli d’Italia. Evidentemente, la strategia politica impersonata da Salvini negli ultimi 5 anni di stravolgere l’assetto della Lega non ha pagato.

Né sono state ripagate le ambizioni della bicicletta Calenda-Renzi, che esce con le ruote sgonfie e i cerchioni ovalizzati: galleggiare attorno al 4%, meno della metà delle quotazioni nazionali, non promette bene, così come pure le ambizioni pentastellate di Giuseppi Conte sono affondate nel nulla.

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