Per l’Unione Europea «è il momento di un’azione decisa, per scongiurare il rischio di deindustrializzazione del nostro continente»: l’allarme è lanciato in una lettera aperta indirizzata ai decisori politici Ue in attesa della presentazione del piano industriale per il “Green Deal”, da parte dell’amministratore delegato di Renault e presidente di Acea, l’associazione che riunisce i costruttori di auto europei, Luca De Meo.
«Negli ultimi 20 anni – osserva De Meo – l’industria automobilistica europea ha gradualmenteperso terreno rispetto ai principali concorrenti globali. La produzione e le vendite di automobili in Cina, ad esempio, sono aumentate di più di 25 volte dal 2003, mentre sono diminuite di circa il 25%in Europa».
«Nello stesso periodo – prosegue De Meo – la quota di mercato interno delle case automobilisticheeuropee è scesa di 7 punti, al 70%. E recenti decisioni politiche rischiano di mettere l’industria automobilistica europea ancora più in difficoltà», creando una «situazione sfavorevole rispetto ai concorrenti cinesi e americani. Mentre l’approccio dell’Europa è quello di regolamentare la strada verso emissioni zero, altre regioni del mondo stanno incentivando quella strada. Gli Stati Uniti e la Cina stanno sostenendo e stimolando in maniera massiccia la loro industria, in particolare attraverso l’Inflation Reduction Act (Ira) e il piano “Made in China 2025” (Mic)».
«Il passaggio alle auto elettriche – sottolinea il presidente di Acea – pone l’Europa in una posizione di svantaggio anche in termini di controllo della catena del valore, in particolare nei confronti dei produttori cinesi. Questo è vero sia a monte, per quanto concerne l’approvvigionamento, sia a valle, per quanto riguarda infrastrutture, energia verde, disponibilità e sostegno economico ai consumatori. Entro il 2030, non più del 5% dei materiali necessari alla produzione di batterie saranno prodottiin Europa. Il settore automobilistico – prosegue il numero uno di Renault e di Acea – è un fattorechiave per la prosperità, la competitività e l’innovazione dell’Europa. E nell’interesse di tutti che rimanga così. Chiediamo quindi con urgenza all’Europa di intervenire, con una politica industriale automobilistica ambiziosa e strutturata, tale da rivaleggiare con quelle di altri regioni, salvaguardando e promuovendo il libero scambio in tutto il mondo».
De Meo insiste anche sulla necessità di «non rinunciare alla neutralità tecnologica», mentre l’Ue sembra ormai spingere con decisione solo sull’elettrificazione totale della mobilità. «Nell’ambito del pacchetto climatico “Fit for 55” – dice il presidente di Acea – ci viene chiesto di ridurre le emissioni delle autovetture del 100% entro il 2035: uno sforzo di gran lunga superiore a qualsiasi altro settore. Per contro, nella produzione di energia all’industria si chiede una riduzione del 70% tra il 2021 e il 2035. All’industria e all’insieme del settore dei trasporti viene chiesto un taglio delle emissioni del 50%».
«L’industria automobilistica – aggiunge De Meo – è inequivocabilmente e pienamente impegnata nella decarbonizzazione del trasporto su strada il più velocemente possibile. Oltre il 60% della produzione globale di veicoli stradali è generata da aziende» che si impegnano ad avere emissioni nette pari a zero. «E i produttori di autocarri si impegnano a fornire i veicoli giusti per trasportare il trasporto merci su strada in Europa, con soluzioni prive di combustibili fossili entro il 2040. Tutto questo ci pone molto avanti rispetto alla maggior parte delle altre industrie».
«E’ responsabilità delle persone come noi – prosegue il presidente di Acea – persone che “fanno” e investono, impegnarsi per gli obiettivi e, allo stesso tempo, dichiarare in modo trasparente le conseguenze. Prendiamo atto del fatto che l’Europa è ora l’unica area geografica che abbandona la neutralitàtecnologica come suo pilastro normativo. Alla luce dell’obiettivo di decarbonizzazione, resta vedere se questa scelta sia la migliore. Oggi, da un punto di vista scientifico, la tecnologia ibrida hi-tech può competere in termini di impronta di CO2».
«Nonostante il contesto difficile – aggiunge De Meo – tutti i nostri sforzi e investimenti sono orientati verso la decarbonizzazione. Le politiche e le normative dovrebbero allinearsi e supportare questo obiettivo. Questo, purtroppo, non è il caso della recente proposta Euro 7/VII, che imporrebbe ai produttori di veicoli leggeri e pesanti di investire miliardi di euro in motori e tecnologia di post-trattamento dei gas di scarico, per vantaggi ambientali minimi. Questo significa muovere notevoli risorse ingegneristiche e finanziarie dai veicoli elettrici a batteria e celle a combustibile al motore a combustione interna».
«Questi fondi – osserva De Meo – potrebbero essere utilizzati meglio per tecnologie che non affrontino solo la CO2, ma anche le altre emissioni inquinanti. La proposta Euro 7/VII nella sua forma attuale ci esporrebbe anche a danni industriali, impatti economici, ma anche politici e sociali. Ad esempio, potrebbe portare alla chiusura di almeno quattro stabilimenti in un breve lasso di tempo per unacasa automobilistica come Renault. Nel nostro continente, c’è un rischio significativo di mettere a repentaglio fino a 300.000 posti di lavoro, se la transizione non è gestita bene. Questo evidenzia ancora una volta la necessità di coordinamento tra governi e industria».
«Nonostante molti annunci e recenti progressi – sottolinea ancora De Meo – lo sviluppo delle infrastrutture è in ritardo rispetto agli sforzi del settore. L’industria automobilistica si sta muovendo velocemente: nel 2012, 10 marchi automobilistici offrivano circa un modello elettrico ciascuno. Ora, 25 marchi propongono un totale di 40 modelli. Tuttavia, solo 2.000 stazioni di ricarica pubbliche vengono installate in tutta l’Ue ogni settimana, mentre ne servirebbero 14.000 alla settimana per garantire la transizione del nostro continente verso la mobilità elettrica».
Il settore spera inoltre che il piano d’azione sulle materie prime critiche, la “Critical Raw Materials Act”, rafforzi la capacità nazionale di estrarre, raffinare e lavorare le materie prime, oltre a migliorarne la sicurezza nell’approvvigionamento. In caso contrario, i produttori di autoveicoli dell’Ue continueranno ad essere notevolmente svantaggiati rispetto alle loro controparti di altre regioni.
L’Acea ha anche dato le sue previsioni per le vendite di auto nuove per il 2023. «Nonostante le numerose incertezze che ci attendono, il mercato dovrebbe iniziare il processo di ripresa nel 2023 – ha spiegato il direttore generale, Sigrid de Vries -. Ci aspettiamo che quest’anno vengano vendute circa 9,8 milioni di auto nuove nella regione, con un aumento del 5% rispetto al 2022. Tuttavia, questo dato rimane inferiore del 25% rispetto ai livelli pre-crisi del 2019, dimostrando che ci troviamo ancora in una situazione fragile. In questo contesto, è ancora più importante che il nostro settore rafforzi la sua posizione sulla scena globale».
Ma la soluzione più giusta per l’economia europea e per la tutela dell’ambiente sarebbe il mantenimento dell’attuale standard Euro 6 per i prossimi dieci anni almeno, fintanto che la ricerca non avrà approntato batterie a stato solido di nuova generazione – attese sul mercato tra cinque anni – e la contestuale rapida diffusione dei carburanti a basso tenore di carbonio, tali da ridurrel’impatto ambientale anche sugli oltre 300 milioni di veicoli già circolanti e che tali rimarranno per almeno altri vent’anni. Con buona pace dei sognatori talebani di Bruxelles.
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