Mentre l’Europarlamento s’appresta a scagliare una pesante tegola sui proprietari di casa europei imponendo loro la riqualificazione energetica obbligatoria degli immobili entro il 2033 pena l’impossibilità di vendita o di affitto, sui proprietari di casa che hanno aderito al Superbonus 110% con la cessione del credito all’impresa che ha svolto i lavori c’è il rischio che vengano chiamati a rispondere in seconda battuta dei crediti maturati nel caso di fallimento dell’impresa.
Il problema sta tutto nell’incaglio dei crediti legati al Superbonus 110% che, per eccesso di successo o per clamorosa sottovalutazione della portata del provvedimento da parte del governi Conte I & II, ha portato all’incaglio di 99 miliardi di euro che le banche – principali acquirenti dei crediti fiscali – non riescono ad assorbire, con il risultato che le imprese che hanno lavorato con la cessione dei crediti si trovano in una doppia situazione di insostenibilità: da un lato, non riescono a scaricare i crediti acquistati dai committenti per incassare la liquidità necessaria a proseguire i lavori e a pagare i materiali e le maestranze, oltre agli oneri previdenziali e fiscali; dall’altro, se non ottemperano ai loro obblighi, potrebbero incappare nel fallimento per colpa altrui, visto che il mancato rispetto degli impegni non è sicuramente ascrivibile a loro, in quanto è lo Stato che non ha saputo gestire bene il provvedimento, soggetto in tre anni di vigenza a ben 21 cambiamenti, alcuni dei quali molto profondi.
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Nel caso del fallimento delle imprese, rischiano molto gli ingnari committenti degli immobili da riqualificare, in quanto la cessione del credito a favore dell’azienda non è “pro soluto”, ma comprende sempre una loro responsabilità finale. Responsabilità che potrebbe riflettersi nel loro coinvolgimento nel pagamento degli insoluti verso fornitori, maestranze e pure il fisco, che nel caso di lavori non completati pretende la restituzione dei crediti già scontati, con il rischio di perdere pure l’immobile se non dispongono di adeguata liquidità.
Insomma, si è dinanzi all’ennesima prova di cattiva politica, dove politici impreparati dei governi Conte I & II hanno allestito norme di difficile applicazione e con esiti non sufficientemente studiati, con il risultato di sfondare di tre volte i 30 miliardi inizialmente preventivati.
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