Superbonus 110% si cambia: il governo Meloni taglia la regalia grillina

Intervento tardivo di taglio del contributo pubblico al 90% che si sarebbe dovuto fare già almeno un ano fa, ma i grillini di governo misero il veto. E oggi ci sono 60 miliardi di spesa a fronte di 30 preventivati. 

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Signori si cambia: chi dal Superbonus 110% ha avuto, ha avuto, tutti gli altri, pazienza e scordiamoci del passato. Il governo Meloni ha chiuso tardivamente il recinto del bengodi di Stato, di quel provvedimento che alla fine del triennio di validità sarà costato la bellezza di 60 miliardi di euro, quasi il doppio di quanto preventivato all’inizio di vigenza del provvedimento che ha portato alla riqualificazione di solo l’un per cento del patrimonio immobiliare italiano, spesso quello detenuto da coloro che del ricchissimo aiutino di Stato nemmeno avrebbero avuto bisogno per ristrutturare ville, seconde e terze case.

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Ancora una volta, la fantasia grillina nell’inventare provvedimenti a danno del bilancio dello Stato ha fatto centro, portando un provvedimento in sé positivo per rilanciare l’economia legata all’immobiliare in un periodo di crisi e per riqualificarlo per ridurre gli impatti ambientali ed energetici, ma fallato sul livello di intervento pubblico – il 110% – e sulle modalità di controllo – inizialmente praticamente inesistenti – con il risultato di favorire truffe a man bassa. Similmente come un altro provvedimento bandiera M5s, il reddito di cittadinanza costato nel triennio 2019-2021 quasi 20 miliardi di euro, nato per abolire la povertà – nel frattempo cresciuta, soprattutto tra coloro che poveri non erano mai stati – e per avviare i disoccupati al lavoro – solo 536 effettivamente gli assunti secondo il risultato dell’indagine della Corte dei conti – grazie alla diuturna opera di circa 3.000 navigator, finalmente tornati da dove erano arrivati: la disoccupazione.

Il ministro all’Economia Giancarlo Giorgetti ha fatto bene a chiudere il recinto della stalla: peccato che lo abbia fatto a buoi già largamente scappati, visto che si sarebbe dovuto ridurre l’intervento statale nel Superbonus 110% già un anno fa, all’insediamento del governo Draghi, ma che non si fece proprio per via del veto del grillismo di governo.

Laddove gli interventi per la riqualificazione del patrimonio immobiliare viaggiavano tra il 50 e il 65% il sistema funzionava bene e la compartecipazione degli aventi diritto serviva a tenere sotto controllo la qualità della spesa, senza incentivare truffe, sprechi e pure l’inflazione.

Ora il problema è frenare la corsa della spesa senza che le imprese – i soggetti maggiormente esposti – vengano a soccombere tra la doppia forca della crisi della liquidità per l’impossibilità di scontare nel sistema bancario i crediti fiscali maturati e per l’impossibilità di aprire i cantieri – o, peggio, di proseguire quelli già aperti – per l’incapacità dei committenti di coprire la quota di spesa di loro competenza.

Insomma, per un Superbonus 110% modificato ben 14 volte nel giro di soli due anni – e la quindicesima è in arrivo – lo scenario è quanto mai fosco e, con il senno del poi, sarebbe stato meglio che non fosse mai nato. Ma questo avrebbe comportato la mancata nascita del M5s e della sua pletora di amministratori improvvisati, che in cinque anni scarsi sono riusciti a superare in peggio decenni di mal governo italico di tutti i colori.

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