Pnrr, un’eredità al rallentatore del governo Draghi a quello di Giorgia Meloni

Attivazione dei 191 miliardi di fondi europei bloccato dalla mancanza dei decreti attuativi. In Italia attuazione degli impegni solo al 10% quando i migliori sono già al 22%. 

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Pnrr

Il Piano per la ripresa e la è il principale strumento attivato dall’Unione europea per risollevare il continente dalla crisi economica e sociale causata dalla pandemia da Covid-19 e in Italia è stato realizzato attraverso il Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza che si propone non solo di migliorare le condizioni socio-economiche attuali, ma anche di avviare i processi di transizione ecologica e digitale per far fronte alle sfide del futuro, oltre ad attuare le riforme che il Paese attende ormai da tempo.

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La Commissione europea ha reso disponibili 723,8 miliardi di euro complessivamente destinate ai paesi, di cui 385,8 miliardi sotto forma di prestiti e 338 miliardi di sovvenzioni. Ciascun stato che ha fatto richiesta di partecipare al Piano poteva scegliere se utilizzare tutti i fondi, a prestito e a fondo perduto, oppure solo le sovvenzioni a fondo perduto.

Gli stati che hanno scelto il pacchetto completo sono stati Italia, Polonia, Grecia, Romania, Portogallo, Slovenia e Cipro. All’Italia è stata assegnata la quota più alta: il 64% dei fondi Pnrr nazionale di 191 miliardi complessivi sono un prestito che andrà restituito, pari a circa 123 miliardi di euro.

Considerando poi la somma tra prestiti e sovvenzioni, l’Italia riceve l’importo maggiore anche dal dispositivo per la ripresa e la resilienza considerato nel suo complesso (191,48 miliardi di euro). Seguono, molto distaccate, Spagna (69,51 miliardi in totale), Francia (39,36) e Polonia (36).

Interessante valutare l’incidenza dei fondi di sostegno su Pil dei vari paesi comunitari: la Grecia è il paese dove le risorse Pnrr costituiscono la percentuale più alta rispetto al Pil nazionale, pari al 16,68%. A seguire Romania (12,15%), Croazia (11,01%) e Italia (10,79%) che registra l’incidenza più alta tra i grandi paesi dell’Unione. La quota minore si registra per il Lussemburgo (0,13%) e per stati del Nord Europa, come Irlanda (0,23%), Danimarca (0,46%) e Svezia (0,61%).

Nel periodo compreso tra il 3 agosto 2021 e il 29 luglio 2022 agli stati dell’Unione europea sono stati erogati complessivamente 112,78 miliardi di euro, ripartiti tra 21 richiedenti su 27 a titolo di prefinanziamento, mentre la prima rata è stata erogata a Spagna, Francia, Grecia, Italia, Portogallo, Croazia, Slovacchia; la seconda rata è stata erogata a Spagna ed Italia.

Il problema, specie per l’Italia è la concretizzazione dei sostegni finanziari in investimenti e riforme, argomento dove il Paese arranca. Spagna e Francia, con il 22% delle agende già realizzate, sono i paesi più avanti nell’attuazione dei propri piani nazionali di ripresa e resilienza. L’Italia è al 10% sul totale di quelli previsti fino al 2026, superata dal Portogallo (11%), mentre Croazia, Slovacchia e Grecia si posizionano al di sotto del 10%.

I numeri dell’Italia devono essere bilanciati dal fatto che esso è il Paese con il maggior numero di scadenze fissate in agenda dall’Unione europea, ben 527, a fronte dei 416 della Spagna, i 331 della Grecia, i 283 della Polonia o i 175 della Francia.

Salta agli occhi come il governo Draghi lasci all’entrante governo Meloni un’eredità pesante in fatto di molti decreti attuativi che mancano, con la necessità di correre al massimo per recuperare il tempo perduto, anche per evitare di perdere i fondi europei per il mancato rispetto degli impegni.

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