In Italia esiste la questione lavoro autonomo sottopagato

Boom di domande ad una settimana dall’apertura per i bonus energia da 200 e 150 euro tra gli iscritti alle casse previdenziali privatizzate. 

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cida questione del lavoro autonomo sottopagato

In Italia si deve affrontare con risolutezza la questione del lavoro autonomo sottopagato, dove centinaia di migliaia di professionisti guadagnano ogni anno meno di 35.000 euro lordi, e ancora di più meno di 20.000, tanto che per tanti, troppi professionisti spesso altamente qualificati è ormai difficile portare a casa risorse sufficienti al proprio sostentamento, al netto delle tasse da pagare, i contributi pensionistici da versare, le spese vive per la produzione del reddito da sostenere.

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A una settimana dall’apertura dei termini per inoltrare domanda di accesso ai bonus energia da 200 e 150 euro previsti dai due decretiAiuti”, che avviene in deciso ritardo rispetto ai lavoratori dipendenti e pensionati evidenziando un’odiosa ed insopportabile disparità di trattamento tra lavoratori, alle casse previdenziali privatizzate sono fioccate a centianaia di migliaia le domande di contributo.

Si passa dalle oltre 74.000 domande alla Cassa forense degli avvocati e alle quasi 42.000 domande a Inarcassa da parte di architetti ed ingegneri, cui seguono le 20.000 domande dei geometri ai 2.270 domande dei periti iscritti all’Eppi, alle oltre 3.200 dell’Epap (dottori agronomi e forestali, fisici, chimici, geologi e attuari), alle 12.000 dal settore medico e sanitario dell’Enpam, agli oltre 6.400 dei biologi dell’Enpab. Spiccano le oltre 22.000 domande dell’Enpap (psicologi) e le 4.800 dei ragionieri e ai 15.000 della cassa dei commercialisti.

Come si vede, sono in gioco centinaia di migliaia di domande da parte di soggetti che ogni anno guadagnano meno di 35.000 o 20.000 euro lordi, che evidenzia la necessità di affrontare la questione della redditività del lavoro autonomo in Italia gravato da troppe tasse e troppi costi, oltre che dall’indeducibilità di molte spese, spesso di elevato importo come quelle legate alla mobilità, che finiscono per mettere in condizioni di inferiorità i professionisti italiani nei confronti dei loro colleghi europei.

Non si si stupisca se molti dei lavoratori autonomi, specie quelli giovani, preferiscono mollare l’Italia e andare a lavorare all’estero, dove le professionalità formate in Italia vengono accolte a braccia aperte, mentre allo Stato – e ai contribuentirimangono le spese sostenute per la loro formazione (secondo i dati del ministro dell’Università Lorenzo Fioramonti nel corso di un’audizione alla Camera il 23 ottobre 2019, il ciclo completo di studi, dalle elementari alla laurea, di un giovane costa allo Stato qualcosa come 250.000 euro).

Nella legislatura che si è appena conclusa c’è stato il tentativo di porre rimedio alle liberalizzazioni di Bersani che hanno abolito i minimi tariffari dei professionisti, ripristinando dei limiti economici non derogabili tali da garantire la redditività di chi fa il professionista. Peccato che nelle more del procedimento di approvazione andato per le lunghe a prima firma proprio della probabile neo premier Giorgia Meloni non sia arrivato all’approvazione finale, mentre solo per gli avvocati si è arrivati a stabilire delle tariffe di riferimento variabili da 200 a 500 euro all’ora.

Il nuovo governo deve avere tra i primi impegni la soluzione della questione del lavoro autonomo sottopagato, ripristinando i minimi tariffari, assicurando l’accesso ai professionisti ai benefici degli incentivi all’innovazione tecnologica che la normativa italiana riconosce solo alle aziende iscritte alle Camere di commercio – da cui i professionisti sono fortunatamente esentati – in contrasto con la norma europea che equipara professionisti e lavoratori autonomi alle microimprese e ripristinare la completa deducibilità di tutti i costi sopportati per la produzione del reddito.

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