Oltre che per l’inflazione che galoppa a doppia cifra e al caro energia con costi praticamente decuplicati, ad aggravare la crisi economica delle imprese italiane ci si mette pure lo Stato, direttamente e con le proprie organizzazioni funzionali.
Mentre le imprese stanno facendo i salti mortali a reggere i maggiori costi della dinamica internazionale dei costi, riducendo il personale e le ore di apertura e tagliando parte dei servizi, lo Stato continua a non rispettare le norme proprie e dell’Europa che vorrebbero i pagamenti ai fornitori effettuati entro la scadenza di 30 giorni dalla data di fatturazione, causando al mondo dei fornitori non pochi problemi di gestione delle finanze aziendali, a partire da quello della liquidità. Sul piatto ballano, come afferma l’ultima indagine della Cgia degli artigiani di Mestre, la bellezza di 60 miliardi di ritardati pagamenti, un volume finanziario pari a quello di due finanziarie medie che finiscono con l’aggravare la crisi economica.
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Si pensi cosa potrebbe succedere se nelle condizioni odierne di economia asfittica il sistema economico potesse introitare il pagamento delle fatture insolute da parte dello Stato: con 60 miliardi di liquidità fresca, le imprese avrebbero decisamente meno problemi nel reggere i costi esorbitanti del caro energia, per non dire di quello degli approvvigionamenti. Soprattutto, si avrebbero meno problemi con il garantire il pagamento degli stipendi ai dipendenti e, pure, del pagamento delle scadenze fiscali.
Non è solo lo Stato a metterci direttamente del suo: ad aggravare la crisi economica c’è pure il suo braccio fiscale, quello dell’Agenzia delle entrate che sta per mandare una raffica di ben 13 milioni di cartelle esattoriali da notificare entro la fine del 2022 e altri 7 milioni entro la fine di luglio 2023 come denuncia Federcontribuenti. SI tratta dell’ennesimo tentativo di vero e proprio esproprio fiscale, visto che l’esperienza degli anni scorsi ha dimostrato che circa il 56% delle emissioni dell’Agenzia sono infondate, le cosiddette “cartelle pazze”, frutto di errori da parte dell’amministrazione tributaria, che continua la sua pratica deteriore di “pesca a strascico” tra i contribuenti, sperando nell’adesione spontanea da parte degli interessati, specie a fronte di piccoli importi la cui contestazione finisce per essere più onerosa della cifra risparmiata.
Il comportamento dell’Agenzia delle entrate è giustificato dal fatto che durante il periodo della pandemia l’invio delle cartelle è rimasto sospeso fino alla fine del 2021, facendo accumulare la bellezza di oltre 26 milioni di avvisi che ora stanno venendo a colpire i malcapitati contribuenti, alle prese con una fortissima crisi di liquidità indotta dalla riduzione del volume d’affari, dall’inflazione, dal caro energia e forniture e dalla pubblica amministrazione che non paga.
Ecco, uno dei primi, indifferibili impegni del nuovo governo deve riguardare un rinnovato rapporto tra cittadini contribuenti e Agenzia delle entrate, con questa che rispetti i primi in linea con uno Statuto del contribuente mai entrato in vigore (e che dovrebbe entrare direttamente nella Costituzione), e il rapido saldo delle fatture inevase per immettere liquidità nel sistema economico.
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