La norma voluta dal Dipartimento dell’editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri volta ad agevolare al 50% gli investimenti pubblicitari tramite un credito d’imposta estesa alle piccole e medie imprese e agli studi professionali è semplicemente fallimentare, una solenne presa in giro per i piccoli imprenditori che vorrebbero incrementare il proprio giro d’affari attraverso una maggiore promozione, promozione che andrebbe a vantaggio, oltre che degli inserzionisti, anche del mondo dell’editoria, che grava in forte crisi.
Di fatto, i 90 milioni di crediti d’imposta messi sul piatto dal Governo per gli anni 2021 e 2022 si rivelano un’arma a doppio taglio, in quanto i fondi vanno ripartiti tra quanti hanno presentato domanda d’incentivazione. «Il risultato di una siffatta norma è che dal 50% della spesa totale, che sarebbe un interessante livello d’incentivazione per una Pmi, si scende e di molto, con percentuali di liquidazione reali sotto il 10% della spesa effettuata – afferma la presidente di Confapi Trentino, Monica Mosna -. Nel concreto, se una Pmi o un artigiano o un professionista volesse investire in pubblicità 5.000 euro, costui prima deve fare domanda di prenotazione al Dipartimento per l’editoria entro il 31 marzo, effettuare la spesa prenotata e dal 1 al 31 gennaio dell’anno successivo alla spesa, presentare al Dipartimento per l’editoria la certificazione della spesa effettuata. Sull’ammontare effettivodegli investimenti pubblicitari fatti dai richiedenti, il governo ricalcola le percentuali effettive di liquidazione che sono decisamente più basse di quanto promesso».
Il risultato di un siffatto modo di fare norme è la sostanziale disincentivazione a presentare la domanda: «tra presentare la domanda di prenotazione e la certificazione successiva un imprenditore medio impiega almeno un paio di ore del suo tempo. Per avere in cambio cosa? – si domanda Mosna – Alla fine per vedersi liquidare poche centinaia di euro, ben meno dei 2.500 euro attesi nell’esempio fatto. E se si va a vedere le previsioni di liquidazionedelle domande presentate per il 2022 si viaggia con una liquidazione attesa del 9,5% per gli investimenti sui giornali e del 5,8% per quelli a mezzo radio e tv. Decisamente troppo poco».
Che fare perché il provvedimento sia veramente a favore del rilancio degli investimenti pubblicitari per le Pmi? Secondo Mosna «è necessario rivedere la norma, ponendo un tetto di fatturato per potervi fare accesso. Inutile incentivare le grandi aziende che fanno strutturalmente investimenti pubblicitari e che magari hanno la sede legale nei paradisi fiscali. Ottimale sarebbe istituire delle fasce di incentivazione inversamente proporzionali al fatturato – ad esempio 50% per le aziende fino a 500.000 euro di fatturato annuo; 40% per quelle con fatturato tra 500.000 e 1 milione; 30% tra 1 e 2 milioni; 20% da 2 a 5 milioni; 10% da 5 a 10 milioni; 0% oltre tale soglia –, stabilendo poi il criterio temporale per la liquidazione. In questo modo si darebbe certezza di liquidazione di quanto promesso ai richiedenti, senza prenderli in giro, facendo perdere loro tempo per liquidazioni irrisorie che spesso non vengono utilizzate».
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