Crisi energetica: più che con i tagli dei consumi, aumentare la produzione nazionale

Per ridurre i costi e l’impatto ambientale la produzione nazionale è largamente vincente. Ma la demagogia ambientalista lo impedisce. 

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I prossimi mesi l’Italia e l’Europa saranno alle prese con la crisi energetica, determinata dal crescere dei consumi dovuto all’avvio degli impianti di riscaldamento e dal venire meno delle forniture russe, che fino a pochi mesi fa costituivano in media il 40% degli approvvigionamenti.

Di qui gli appelli del governo italiano e della Commissione europea a ridurre i consumi di energia, specie di gas, abbassando la temperatura degli impianti di riscaldamento negli uffici e nelle abitazioni. Nulla di male, perché spesso si assiste a vere e proprie savane domestiche nel cuore dell’inverno, con le persone che in casa circolano in mutande e canottiera invece di indossare la felpa e un paio di calzettoni. Oltretutto, oltre al portafoglio con bollette meno pesanti, il taglio della temperatura di un paio di gradi fa bene anche alla salute, con aria meno secca e meno sbalzi termici tra l’esterno e l’interno.

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Il problema di fondo è l’approvvigionamento energetico. Negli oltre 15 anni di governo alla guida della Germania, Angela Merkel ha trascinato l’Europa tutta a rifornirsi di gas dalla Russia, che assicuravaforniture a prezzi competitivi, ma esponeva l’Europa – così come è puntualmente accaduto – a problemi di carattere geopolitico che ora sono venuti al pettine in tutta la loro gravità. Dietro questo scenario, c’è stato anche l’interesse tedesco a diventare il centro europeo di importazione e distribuzione del gas russo, applicando un ricarico su tutto il gas venduto a paesi terzi.

Oggi se la Germania sta male con il paese già caduto in recessione tecnica, l’Italia sta solo un pochino meglio, perché – ironia della sorte – ora si trova in posizione di vantaggio, diventando essa un centro di transito e di fornitura di gas metano per gli altri paesi, visto che è attraversata da due linee di rifornimento in arrivo dall’Africa e una dalla Grecia che arriva dall’Azerbaigian. E nel prossimo futuro potrebbe anche andare meglio se verrà realizzato il metanodotto EastMed che dovrebbe collegare i nuovi megagiacimenti scoperti al largo di Israele e Libano – e in futuro di quelli egiziani – che frau Merkel ha stoppato per favorire i propri interessi con il raddoppio del Nord Stream mai entrato in funzione.

Mentre l’Italia punta a nuovi impianti di rigassificazione per tamponare la crisi energetica a caro prezzo, la politica farebbe meglio ad abrogare il Pitesai, frutto della peggiore demagogia al governo, e riaprire, potenziandoli, tutti i pozzi chiusi e ad avviare nuove prospezioni per sfruttare la quota parte di giacimenti spettanti al Paese nei fondali dell’Adriatico. Una decisione che qualsiasi politico di buon senno dovrebbe affrettarsi a prendere, oltre che a beneficio dell’economia nazionale sia in termini di Pil che di occupazione, anche dell’ambiente, perché la produzione di gas nazionale è decisamente meno impattante di quella trasportata via metanodotto o via gas liquido da molto lontano.

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