Mentre le concessioni balneari, a differenza dei taxi e del trasporto pubblico locale, rimangono all’interno del disegno di legge sulla concorrenza che ne prevede il rinnovo sulla base di gare pubbliche, si scopre che sono tante (12.166) e che rendono all’erario decisamente poco, troppo poco rispetto al fatturato complessivo dei gestori: nel 2020 il gettito è stato solo di 104 milioni di euro.
Secondo Legambiente che rilancia le spiagge libere, le concessioni balneari «sono troppe e bisogna risolvere la scarsa trasparenza sull’affidamento in concessione, i canoni irrisori e l’assenza di un regolare censimento sul numero di stabilimenti presenti sul demanio marittimo».
A pesare anche l’aumento dell’erosione costiera che riguarda circa il 46% delle coste sabbiose, con i tratti di litorale soggetti ad erosione triplicati dal 1970, e il problema dell’inquinamento delle acque che riguarda il 7,2%della costa sabbiosa interdetto alla balneazione per ragioni di inquinamento, come è successo nelle scorse oresulla costa romagnola per un eccesso di concentrazione di batteri fecali.
Sul fronte delle concessioni, secondo i dati del monitoraggio del Sistema informativo demanio marittimo (S.I.D.), effettuato a maggio 2021, in alcune regioni si trovano veri e propri record a livello europeo, come in Liguria, Emilia Romagna e Campania, dove quasi il 70% delle spiagge è occupato da stabilimenti balneari a discapito delle spiagge libere. Nel comune di Gatteo, in provincia di Forlì e Cesena, tutte le spiagge sono in concessione, ma anche a Pietrasanta (LU), Camaiore (LU), Montignoso (MS), Laigueglia (SV) e Diano Marina (IM) gli stabilimenti in concessione sono sopra il 90%, lasciando liberi solo pochi metri spesso in prossimità degli scoli di torrenti in aree degradate.
«In Italia – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – non esiste una norma nazionale che stabilisca una percentuale massima di spiagge che si possono dare in concessione. Un’anomalia tutta italiana a cui occorre porre rimedio. L’errore della discussione politica di questi anni sta nel fatto che si è concentrata tutta l’attenzione intorno alla Direttiva Bolkestein finendo per coprire tutte le questioni, senza distinguere tra bravi imprenditori e non, e senza guardare a come innovare e riqualificare. E’ un peccato che non si sia riusciti a definire le nuove regole in questa legislatura, in modo da togliere il tema dalla campagna elettorale. Occorre, infatti, dare seguito alle innumerevoli sentenze nazionali ed europee, altrimenti si arriverà presto a multe per il nostro Paese per violazione delle direttive comunitarie e, a questo punto, anche di una legge nazionale che stabilisce di affidarle tramite procedure ad evidenza pubblica a partire dal primo gennaio 2024».
Legambiente avanza 5 proposte: garantire il diritto alla libera e gratuita fruizione delle spiagge; premiare la qualità dell’offerta nelle spiagge in concessione; ristabilire la legalità e fermare il cemento sulle spiagge; definire una strategia nazionale contro erosione e inquinamento e un’altra per l’adattamento dei litorali al cambiamento climatico.
Altro aspetto da migliorare con decisione è il ricavo delle concessioni degli stabilimenti balneari. Per il 2020 le previsioni definitive sull’ammontare dei canoni per le concessioni parlano di 104,8 milioni di euro in totale in Italia, ma di una cifra accertata di 94,8 milioni, di cui 92,5 milioni effettivamente riscossi. Si tratta di canoni irrisori che, secondo Legambiente, «tra i nervi scoperti c’è anche la scarsa trasparenza dei canoni pagati per le concessioni e la non completezza dei dati sulle aree che appartengono al demanio dello Stato».
Secondo la Relazione la cifra del 2020, inoltre, è in calo del 12% rispetto al 2019, in parte «da ascriversi alla situazione straordinaria generatasi dall’emergenza epidemiologica da Covid-19 e dai conseguenti numerosi provvedimenti normativi emanati per fronteggiarla». I dati della media 2016-2020 parlano di entrate accertate per 103,9 milioni di euro annui, con 97,5 milioni riscossi. Decisamente troppo poco, specie a fronte di fatturati miliardari registrati dal settore balneare.
Una soluzione potrebbe essere, a partire dal 2024, l’azzeramento totale di tutte le concessioni in essere, così come è già capitato con le “lenzuolate” di Bersani nel settore del commercio, passando la gestione delle concessioni ad una società pubblica che provveda ad affittare con canoni adeguati e proporzionali con le mediedi fatturato degli ultimi cinque anni dei vari stabilimenti, per durate non superiori ai 5 anni, il 50% delle spiagge, lasciando il rimanente alla libera fruibilità, prevedendo il reinvestimento del 50% del gettito raccolto per la manutenzione di tutte le coste.
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