Grano duro: Ismea stima un calo del raccolto nazionale del 16%

Rese ai minimi degli ultimi cinque anni, ma dai mercati arrivano i primi segnali di inversione di tendenza per le previsioni positive sulla produzione mondiale. 

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grano duro

La produzione italiana 2022 di grano duro potrebbe essere inferiore di circa il 16% rispetto all’anno precedente, prevalentemente a causa del deficit idrico registrato durante la fase post semina e delle elevate temperature degli ultimi mesi. È quanto emerge da una prima ricognizione condotta da Ismea, nei primi giorni di luglio, a operazioni di raccolta quasi completamente terminate.

Il calo produttivo prospettato dall’Istituto è frutto della riduzione delle superfici destinate a grano duro (-1,4% secondo le intenzioni di semina rilevate dall’Istat) e della contrazione delle rese per ettaro, che si collocherebbero, in media nazionale, a 2,8 t/ha, il minimo degli ultimi 5 anni.

In base alle informazioni raccolte, la riduzione delle rese dovrebbe interessare quasi tutti i principali areali: dalla Puglia (-25%), Sicilia (-15%) e Basilicata (-10%) alle Marche (-20%) ed Emilia Romagna (-15%), portando la produzione nazionale a 3,4 milioni di tonnellate nella campagna 2022/23. Dal punto di vista qualitativo, la granella dovrebbe presentare su tutto il territorio buoni standard di qualità con un contenuto proteico mediamente compreso tra 11 e 13% sulla sostanza secca.

Il deterioramento delle attese produttive anche in Francia, dovuto sempre al persistente clima caldo e siccitoso, ha portato la Ue a rivedere nuovamente al ribasso le sue previsioni di produzione a 7 milioni di tonnellate, il 9,2% in meno su base annua.

Al contrario, le previsioni sui raccolti del Nord America di grano duro, dopo il crollo della scorsa annata, indicanoun recupero. Le stime più aggiornate dell’IGC (International Grain Council), evidenziano infatti per il 2022 una produzione globale di frumento duro di 32,9 milioni di tonnellate (+7,4% rispetto alla pessima campagna precedente) per effetto dell’incremento dell’offerta canadese (stimata a oltre 6 milioni di tonnellate, dopo i 2,7 milioni dello scorso anno) e di quella statunitense (2,1 milioni di tonnellate più del doppio dello scorso anno).

Intanto, dai mercati provengono i primi segnali di distensione dei listini dopo la fiammata registrata a partire da fine 2021 e che ha fatto toccare il record nell’ultima settimana del mese di giugno. Le quotazioni del prodotto estero non comunitario nella terza settimana di luglio si sono attestate a 558,75 euro/t in calo dell’1% su base settimanale e del 7,6% rispetto l’ultima settimana di giugno, mentre il frumento duro comunitario è rimasto stabile a 540 euro/t nelle prime tre settimane del mese (era a 575 euro/t nell’ultima settimana di giugno). Medesima dinamica settimanale si rileva anche per il prodotto nazionale, con il grano duro fino che nella terza settimana del corrente mese risulta pari a 507,50 euro/t sia a Bologna che Foggia, mentre nell’ultima settimana di giugno il prezzo era pari, rispettivamente, a 562,50 euro/t e 577,50.

È tuttavia ancora presto, sottolinea Ismea, per individuare un orientamento ben definito delle quotazioni, in considerazione di alcuni elementi di criticità che permangono nei fondamentali del mercato. La domanda mondialedi grano duro è prevista infatti in crescita a 33,6 milioni di tonnellate nel 2022/23, vale a dire su livelli superiori all’offerta, dato che prelude a un’ulteriore contrazione delle scorte finali (-10,7% e 5,5 milioni di tonnellate nel 2022/23). Allo stesso tempo permane ancora qualche incertezza sugli esiti produttivi in Nord America, in considerazione delle anomalie climatiche che ormai si presentano con sempre maggiore frequenza.

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