Il calcio italiano affonda nei debiti: 5,4 miliardi di euro

Negli ultimi 12 anni i debiti sono raddoppiati. Gravina: «ora necessario gestire i costi». 

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Il calcio italiano affonda nei debiti, con una corsa di un milione al giorno per ciascuno degli ultimi 12 anni, fino ad accumulare un rosso di 5,4 miliardi di euro, tanto che la Figc, la Federazione italiana gioco calcio, impone un deciso cambio di marcia, con controllo dei costi, valorizzazione dei giovani e nuove infrastrutture.

La rotta per le riforme e il risanamento del calcio italiano è stata tracciata dl presidente della Figc, Gabriele Gravina, perché «i dati del nostro ReportCalcio sono impietosi e diventano una sorta di monito per tutto ciò che è successo durante il periodo della pandemia». Numeri solo acuiti dalla pandemia da Covid, perché già nei 12 anni analizzati precedenti alla pandemia (dal 2007-08 al 2018-19), il calcio professionistico italiano ha prodotto un “rossoaggregato pari a circa 4,1 miliardi di euro, praticamente 1 milione al giorno. Nello stesso lasso di tempo il fatturato dei club di Serie A, B e C è arrivato a toccare i 3,9 miliardi di euro, ma quasi il 90% della crescita dei ricavi tra il 2007 e il 2019 è stata utilizzata per coprire l’aumento degli stipendi e degli ammortamenti/svalutazioni del parco giocatori, dove il costo del lavoro continua a crescere e oggi impatta sul valore della produzione per il 66%, che purtroppo diventa il 92% al netto delle plusvalenze.

Per questo il diktat di Gravina ormai da tempo è sempre lo stesso: «dobbiamo controllare i costi», ribadendo che con il consiglio federale è al lavoro per una serie di proposte che ha intenzione di portare già nella prossima riunione del 28 luglio per una nuova formula con visione triennale delle licenze nazionali.

Da qui anche la necessita di tornare a parlare di indice di liquidità dopo la prima battaglia avuta con la Serie A e con Gravina pronto a rilanciare: «oggi adottare un indicatore dello 0,6 è davvero il minimo indispensabile, faremo di tutto per avere anche altri indicatori incisivi, ma la nostra idea per l’indice di liquidità è comunque quella di passare da 0,6 a 0,8 in tre anni per poi arrivare a 1». Anche perché nelle due stagioni con impatto Covid-19 il deficit aggregato prodotto dal calcio professionistico italiano è stato pari ad oltre 2,2 miliardi di euro, mentre a livello finanziario l’indebitamento è salito dai 4,8 miliardi di euro del 2018-2019 ai quasi 5,4 del 2020-2021. Ma a soffrire sono stati anche i ricavi da stadio, quasi azzerati nel 2020-21 e con un impatto in termini di ricavi potenziali da bigliettazione non realizzati di oltre mezzo miliardo. La pandemia ha comportato anche a una riduzione del 21% dei tesseramenti Figc tra il 2018 e il 2021 con una ricaduta inevitabile sui settori giovanili che vivono, a livello nazionale, un paradosso in virtù degli ottimi risultati recenti, ma con dei giovani che trovano sempre meno spazio in Serie A, dove i campioni internazionali strapagati e acquistati a peso d’oro devono essere fatti lavorare con continuità per ammortizzare i loro ingenti costi.

Secondo Gravina, il talento tra i giovani c’è e lo dimostra lo stage che il commissario tecnico della nazionale Mancini ha organizzato qualche settimana fa. «Dei 54 convocati tra A e B, secondo Mancini, tutti possono tranquillamente giocare in Serie A – ha spiegato il presidente della Federcalcio – Ma giocano pochissimo. Gli manca l’esperienza e la possibilità di diventare campioni. E’ evidente la dispersione di talento».

Per cercare di quadrare i conti, Gravina ha un’idea: creare un fondo con una percentuale derivante dai ricavi da scommesse che il calcio genera da destinare alla costruzione di nuove infrastrutture perché «non è possibile per il nostro mondo non poter trarre alcun vantaggio dai ricavi da noi generati dal giro di scommesse pari a circa 16 miliardil’anno».

Ma, soprattutto in ottica della Nazionale e della possibilità di schierare una compagine realmente strutturata e rodatanelle partite del campionato nazionale, sarebbe opportuno che le “rose” delle squadre ponessero dei limitiall’affollamento dei campioni acquistati sul mercato, riservando una quota obbligatoria alla composizione delle squadre ai giovani provenienti dai vivai nazionali.

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