Non solo energia elettrica e gas metano: ad aumentare dal 1° luglio saranno anche i pedaggi della rete autostradaledi Aspi, che subiranno un aumento medio dell’1,5%, decisamente elevato, specie se raffrontato alla qualità del servizio spesso decisamente scadente rispetto al prezzo del pedaggio estorto in tanti, troppi tratti della rete autostradale nazionale. Un aumento che ha scatenato le proteste degli autotrasportatori e dei consumatori.
Per il presidente dell’associazione indipendente dell’autotrasporto “Ruote Libere”, Cinzia Franchini, «in un Paese, l’Italia, con il costo dei pedaggi autostradali tra i più cari d’Europa e con una rete autostradale che mostradrammatiche lacune sul fronte della manutenzione, Autostrade per l’Italia ha annunciato che da luglio scatterà un aumento dei pedaggi dell’1.5%. Una decisione assurda e gravissima sia dal punto di vista del metodo, che dal punto di vista del merito. Aumentare i pedaggi in questa fase significa infatti essere completamente avulsi dalla realtà che sono costretti a vivere gli automobilisti e in particolare gli autotrasportatori italiani, piegati da mesi di rincari ingiustificati del carburante. Significa davvero disinteressarsi delle difficoltà di un intero settore economico. Parallelamente che a mettere in campo questa scelta siano concessionari che negli anni hanno beneficiato di contratti dorati rende il tutto ancor più inaccettabile».
Secondo Franchini, «l’amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, Roberto Tomasi, ha poi usato parole che suonano come una beffa: “Parliamo veramente di poco, un aumento risibile legato all’approvazione del piano economico e finanziario”, ricordando come le tariffe di Autostrade siano “rimaste bloccate a partire dal 2018”. I concessionari autostradali hanno goduto prima della pandemia, come ha più volte evidenziato la stessa Autorità dei Trasporti, di incrementi tariffari annuali che vanno oltre le medie economiche di altri settori e della stessa inflazione. Oggi, che Autostrade per l’Italia è controllata dallo Stato, l’aumento dei pedaggi è ancor più intollerabile e suona come un segnale di abbandono per il mondo dell’autotrasporto».
Per il presidente dell’Onlit, Dario Balotta, «lo Stato ha fatto quello che non avrebbero mai avuto il coraggio di fare i Benetton. Ci voleva il passaggio dalla proprietà privata dei Benetton a quella pubblica del ministero dell’Economia per avere un nuovo aumento dell’1,6% dei quasi 3.000 km di rete autostradale italiana. Aumento assolutamente ingiustificato perché i costi di gestione non sono aumentati, anzi dopo oltre mezzo secolo di ammortamenti non c’è nessuna giustificazione per questo nuovo aumento dei pedaggi che andrebbero invece ridotti».
Per Balotta «con il traffico veicolare è in netta ripresa, l’automazione ha dimezzato il personale e i costi di esercizio, rendendo ancor più ingiustificati gli aumenti visto che la manutenzione e la sicurezza dovrebbero già essere ricompensate dai lauti profitti derivanti dai pedaggi tra i più alti d’Europa. Adesso si vorrebbe sotto la veste pubblica continuare a spennare camionisti ed automobilisti. Alla festa partecipa lo Stato con Cassa depositi e prestiti che controlla l’88% di Aspi (51% di CdP e 49% diviso in egual misura dai fondi Macquarie e Blackstone), mentre il rimanente 12% è in mano ad Allianz e Silkroad. Una bella compagnia pronta a perpetrare la rendita di posizione garantita che avevano i Benetton da una maxi concessione che durerà almeno fino al 2038».
Ancora una volta, il sistema autostradale in concessione è una gallina dalle uova d’oro, anzi di platino, che frutta miliardi su miliardi ogni anno in cambio di servizi spesso pessimi, come dimostra anche il caso del crollo del ponte Morandi a Genova sotto la gestione Benetton. Oppure come nel caso del rinnovo a tutti i costi della concessione A22già scaduta da 5 anni in capo agli enti pubblici territoriali che non hanno alcuna voglia di perdere la gestione di circa 90 milioni di dividendi ogni anno, una gestione che vede un consiglio di amministrazione pletorico finito sotto la critica della Corte dei conti del Trentino Alto Adige che ha consigliato il Consiglio dei ministri ad impugnare alla Corte costituzionale la legge che pone le basi per il rinnovo della concessione.
Ma in Italia perché è così difficile che un’opera pubblica, legittimamente realizzata in concessione da un privato per gli anni stabiliti dal contratto per recuperare gli investimenti con il relativo utile, al termine della concessione non riesca a rientrare nella piena disponibilità dello Stato con l’azzeramento degli oneri in capo agli utilizzatori? Perché la Spagna, alla scadenza delle concessioni autostradali, ne liberalizza la percorrenza con zero costi per gli utenti e in Italia no? Attendiamo la risposta del ministro Giovannini, che pare troppo preso a consolidare e a prolungare sine die le rendite di posizione come un feudatario d’altri tempi.
Per rimanere sempre aggiornati con le ultime notizie de “Il NordEst Quotidiano”, iscrivetevi al canale Telegram per non perdere i lanci e consultate i canali social della Testata.
Telegram
https://twitter.com/nestquotidiano
https://www.linkedin.com/company/ilnordestquotidiano/
https://www.facebook.com/ilnordestquotidian/
© Riproduzione Riservata