Alla fine, il dato è tratto: Luigi Di Maio, dopo almeno due lustri di militanza attiva nel M5s, lascia il movimento fondato da Beppe Grillo per dare luce, assieme ad altri sessanta tra deputati e senatori, a “Insieme per il futuro”, una formazione che nel Parlamento avrà propri gruppi autonomi e che condanna il M5s alla perdita dello scettro di primo partito a favore della Lega Salvini premier.
Voci maliziose ma insistenti affermano che non si è dinanzi ad un temporale estivo (magari! C’è bisogno disperato di acqua…), ma ad una mera questione di futuro personale e, soprattutto, di poltrone con annesse ricche indennità di carica. Già, il motivo fondante del passaggio del Rubicone pentastellato parerebbe proprio questa: la conferma del divieto al terzo giro di giostra parlamentare da parte di deputati e senatori giunti al termine del secondo giro, ribadito dal garante Beppe Grillo e rilanciato anche dal presunto leader Giuseppi Conte.
Dinanzi ad uno scenario che per molti dei 60 “Futuristi” in questione sarebbe stato quello di abbandonare i 120.000 euro di indennità a reddito zero o lì vicino, di dire addio alle pompe e agli sfarzi del palazzo e dei posto di governo, sottogoverno e pure degli strapuntini del sottobosco degli incarichi, ecco l’ennesima conversione sulla via di Damasco, con la totale abiura dei principi per cui avevano combattuto veementemente, ad iniziare da quel mitico “uno vale uno” che Di Maio ha sconfessato, dicendosi alla cerca di persone di valore e competenti per il supporto ai suoi “Futuristi”.
L’anelito di procurarsi un difficile terzo giro di giostra politica rischia di terremotare il governo, perché Luigi Di Maio ha portato con sé una bella fetta di ministri e di viceministri e di sottosegretari, oltre che di vertici di commissioni parlamentari, aprendo la questione della sovrarappresentazione istituzionale dei “Futuristi” a danno del M5s, ma anche dando il destro al nuovo partito di maggioranza relativa in Parlamento di chiedere un riequilibrio nei vari posti. Insomma, qualcuno potrebbe anche rimanere senza seggiolone, seggiola o sgabello prima del tempo, con la tentazione di spingere a fondo la rottura e di cercare di tentare subito la roulette elettorale, non fosse altro per fare l’ultimo sgarbo ai 60 in cerca di futuro (personale) politico privandoli pure della pensione, se la legislatura dovesse cessare prima del fatidico 30 settembre 2022.
Staremo a vedere.
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