Kering versa al fisco 186 milioni di tasse evase su Bottega Veneta

Pm Milano: «indagine su stabile organizzazione occulta per sfruttare commercialmente il marchio». Il giro di carte fittizio ha permesso di pagare tasse sul fatturato per solo il 7,87%. 

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bottega veneta
Un tipo di borsa di pelle intrecciata di Bottega Veneta.

Dopo Gucci, ora tocca al gruppo multinazionale Kering che detiene il marchio del lusso “Bottega Veneta”, quello reso famoso dalle borse realizzate con strisce di pelle intrecciate, definire «la propria posizione con il fisco italiano, mediante accertamentocon adesione, versando nelle casse dell’Erario la somma di oltre 186 milioni di euro, a titolo di maggiori imposte dovute, sanzioni e interessi»: lo ha comunicato il procuratore facente funzione di Milano, Riccardo Targetti, dando conto anche delle indagini della Guardia di finanza che hanno accertato «l’esistenza e l’operatività in Italia della stabile organizzazione occulta» per aggirare il fisco in relazione allo sfruttamento commerciale del marchio.

Le indagini, coordinate dal pm Stefano Civardi e dall’aggiunto Maurizio Romanelli, sono state delegate ai finanzieri del Nucleo di Polizia economico-finanziaria della Gdf di Milano che hanno effettuato verifiche su due società del gruppo Kering: la prima è la divisione Bottega Veneta della Luxury Goods International S.a. che aveva un ruolo di produzione e distribuzione in tutto il mondo dei prodotti di lusso del marchio con sede in una villa settecentesca a Montebello Vicentino. La seconda è Bottega Veneta S.a. dal 2012 detentrice del marchio della casa e quindi dei diritti di sfruttamento.

Gli accertamenti delle Fiamme gialle hanno dimostrato l’esistenza di una stabile organizzazione in Italia non dichiarata. Per questo sono indagati per omessa dichiarazione dei redditi i 4 legali rappresentanti pro tempore delle due società svizzere.

I fatti contestati vanno dal 2012 al 2019. Gli approfondimenti investigativi hanno permesso di «dimostrare – scrive nel comunicato il procuratore Tagetti – che le primarie funzioni aziendali della Divisione erano state prevalentemente esercitate a Milano, da personale operativo presso le consociate italiane del gruppo multinazionale di appartenenza». Al contrario, le due società elvetiche avrebbero svolto «funzioni ausiliarie allo sviluppo del business aziendale», come la logistica e l’assistenza clienti, tali da essere qualificate «operatori economici connotati da un ridotto rischio di impresa, le cui attività giustificano il conseguimento di limitati margini reddituali».

Inoltre è stato accertato, secondo Tagetti, che la principale consociata estera «aveva conseguito in Svizzera un ingente risparmio di imposta conseguente alla stipula di un “tax ruling” con l’amministrazione fiscale» elvetica con «un abbattimento (dal 50 al 70%) delle imposte cantonali, federali e comunali, ottenendo un “tax rateeffettivo medio pari al 7,87%».

Le indagini penali quindi hanno portato a ricostruire la reale operatività in Italia delle due società estere con successiva«rideterminazione del reddito imponibile non dichiarato e delle imposte evase» e la definizione da parte di Kering della propria posizione con il fisco versando all’erario 186.778.639 euro a titolo «di maggiori imposte dovute, sanzioni e interessi».

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