Accolto dalla Cassazione, ai fini del risarcimento da stabilire in sede civile, il ricorso del leader della Lega Matteo Salvini, difeso dall’avvocato Claudia Eccher, contro un ex consigliere comunale dem del comune di Rovereto, l’avvocato Paolo Mirandola, denunciato dall’ex ministro all’Interno per aver detto durante una seduta accesa del consiglio comunale cittadino del 2 marzo 2015 «Salvini in galera, un mascalzone, un delinquente abituale per tendenza», reagendo a un consigliere comunale della Lega che nell’aula del Consiglio indossava la maglietta “Renzi a casa”.
La Cassazione ha così ribaltato i due gradi di giudizio del Tribunale di Rovereto che aveva assolto l’avvocato Mirandolaritenendo sì le frasi ingiuriose, ma giustificate dal contesto politico. Di avverso avviso i supremi giudici che le hanno connotate come infamanti.
In primo e secondo grado, l’avvocato e consigliere comunale del Partito democratico Paolo Mirandola era stato assolto«perché il fatto non costituisce reato» dall’accusa di diffamazione nei confronti di Salvini per le frasi pronunciate durante l’approvazione del bilancio del comune trentino in un discorso suscitato dal fatto che un consigliere leghista aveva la stessa maglietta con lo slogan “Renzi a casa” riferito all’allora premier Matteo Renzi, leader del Pd, preso come titolo della manifestazione della Lega a Roma che si era svolta il 28 febbraio, pochi giorni prima, nella quale Salvini aveva coinvolto anche Fratelli d’Italia e Casapound.
Nella sua accalorata invettiva, Mirandola aveva detto che il segretario della Lega «aveva radunato in Piazza del Popolo il peggio del Paese, i fascisti, le Casa Pound, associazioni che sono venute dalla Germania, dalla Grecia, da altri paesi, le più destre possibili, le più pericolose possibili», concludendo che «è la feccia del Paese e dunque Salvini in galera».
Secondo i giudici di merito, le espressioni usate «in sé ingiuriose erano scriminate dall’esercizio del diritto di critica politica» e «il riferimento a Salvini era stato provocato dal fatto che un altro consigliere comunale, appartenente alla Lega, aveva indossato la maglietta con la scritta “Renzi a casa”, la stessa indossata dai partecipanti alla manifestazione di Roma organizzata qualche giorno prima da Salvini».
Lo sbrocco dell’avvocato militante democratico, secondo i giudici di Rovereto, erano da collocarsi «in un contesto di conflittualità politica molto acceso, che giustificava l’utilizzo di espressioni offensive».
Una sentenza impugnata in Cassazione dal legale di Salvini, la trentina Claudia Eccher che dinanzi alla Suprema corte si è vista riconoscere ancora una volta la fondatezza delle sue argomentazioni. Per la Cassazione «l’avere attribuito a Salviniqueste connotazioni, chiaramente infamanti, esula dal legittimo esercizio del diritto di cronaca politica perché attinge alle caratteristiche personali del soggetto ed alla sua integrità, peraltro introducendo dei concetti – come l’essere Salvini un pluripregiudicato, un soggetto meritevole di subire una pena detentiva, un soggetto caratterizzato da una vera e propria propensione al delitto – che non appaiono né vagliati nella loro veridicità, né funzionali a quello specifico dibattito politico, pur ammettendo che esso si fosse spostato dall’approvazione del bilancio del comune di Rovereto alla manifestazione romana».
Ora il danno subito dal leader della Lega, che aveva chiesto 50.000 euro di risarcimento, sarà quantificato dal giudice civile competente in grado di appello come stabilito dai giudici di Cassazione della V sezione penale (presidente Stefano Palla, relatrice Paola Borrelli) appena depositato.
Da parte sua, si dichiara soddisfatta della sentenza il legale del leader leghista, l’avvocato Claudia Eccher: «la sentenza segna un principio importante sull’uso delle parole contro qualcuno: la critica, anche in ambito politico, non giustifica la contumelia. Il termine delinquenti ha un significato proprio che non si addice a Matteo Salvini».
Una sentenza che farà testo anche sui tanti, troppi che soprattutto nei canali social scaricano giudizi e commenti pesantisu persone, ora sanzionabili penalmente e civilmente.
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