Se la guerra scatenata dalla Russia non finisce presto, in Ucraina le semine primaverili saranno praticamente dimezzate su una superficie di 7 milioni di ettari rispetto ai 15 milioni precedenti all’invasione, con lo spettro del rischio di carestia e speculazioni su scala mondiale.
Coldiretti lancia l’allarme di una nuova carestia alimentare perché le disponibilità alimentari in Medio Oriente e in Africa e, in misura minore, dell’Europa sono legate ai raccolti di cereali in Ucraina. Le semine di mais potrebbero ridursi da 5,4 milioni di ettari a 3,3 milioni di ettari mentre la raccolta del grano potrebbe essere possibile solo su 4 milioni di ettari dei 6,5 seminati in inverno, con un grave deficit sull’offerta mondiale.
Si tratta di un taglio significativo anche alla luce delle difficoltà del commercio internazionale di materie prime agricole in una situazione in cui molti Paesi stanno adottato misure protezionistiche con l’Ucraina che, insieme alla Russia, controllacirca il 28% sugli scambi di grano con oltre 55 milioni di tonnellate movimentate, per il 16% sugli scambi di mais (30 milioni di tonnellate) per l’alimentazione degli animali negli allevamenti e per il 65% sugli scambi di olio di girasole (10 milioni di tonnellate) per la produzione di conserve, salse, maionese, condimenti spalmabili da parte dell’industria alimentare, oltre che per le fritture, secondo il centro studi Divulga.
L’Italia è un Paese deficitario ed importa addirittura il 64% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e il 53% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame. L’Italia acquista mais sui mercati esteri per oltre 6 milioni di tonnellate provenienti prevalentemente da Ungheria 30% (1,85 milioni di tonnellate), Slovenia 13% (780.000 tonnellate) e Ucraina 13% (770.000 tonnellate), secondo lo studio Divulga. Dall’Ucraina in Italia arriva appena il 2,7% delle importazioni di grano tenero per la panificazione per un totale di 122 milioni di chili ma anche ben il 15% delle importazioni di mais destinato all’alimentazione degli animali per un totale di 785 milioni di chili, secondo l’analisi Coldiretti su dati Istat relativi al 2021.
A preoccupare sono le speculazioni che – secondo la Coldiretti – si spostano dai mercati finanziari in difficoltà ai metalli preziosi come l’oro fino ai prodotti agricoli dove le quotazioni dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie di mercato che trovano nei contratti derivati “future” uno strumento su cui chiunque può investire acquistando e vendendo solo virtualmente il prodotto.
Una speculazione sulla fame che nei Paesi più ricchi provoca inflazione e povertà ma anche gravi carestie e rivolte nei Paesi meno sviluppati come emerge dall’analisi del Center for Global Development Usa secondo cui le quotazioni potrebbero spingere più di 40 milioni di persone in tutto il mondo in una “povertà estrema”.
I prezzi del grano si collocano sugli stessi livelli raggiunti negli anni delle drammatiche rivolte del pane che hanno coinvolto molti paesi, a partire dal nord Africa come Tunisia, Algeria ed Egitto che è il maggior importatore mondiale di grano e dipende soprattutto da Russia e Ucraina. Non è un caso che la Tunisia – conclude la Coldiretti – abbia pubblicato in gazzetta Ufficiale un decreto presidenziale relativo alla lotta alla speculazione per colpire operazioni di deposito o occultamento di beni e merci con l’obiettivo di creare una penuria o turbativa del mercato e non ci si deve dimenticare che molte delle “primavere arabe” degli anni scorsi sono state innescate proprio dal drastico rincaro e dalla scarsità dei beni alimentari di prima necessità.
Con la guerra in Ucraina oltre a mancare dal mercato oltre ¼ del grano mondiale e il 16% sugli scambi di mais (30 milioni di tonnellate) per l’alimentazione degli animali negli allevamenti, viene meno anche il 65% sugli scambi di olio di girasole (10 milioni di tonnellate), tanto da spingere le Nazioni Unite a lanciare l’allarme secondo le quali la guerra in Ucraina sta provocando una catastrofe globale sul piano agricolo ed alimentare come mai era accaduto dalla Seconda guerra mondiale.
Problemi anche per la spedizione dei cereali della precedente stagione, perché nei porti del Mar Nero sono bloccate 94 navi per il trasporto di prodotti alimentari e tre bombardate.
A preoccupare è anche l’impennata dei prezzi dell’ortofrutta su banchi dei mercati italiani: secondo il presidente della Federazione Nazionale di prodotto Orticoltura di Confagricoltura, Massimiliano Del Core, «siamo in una fase difficile per il comparto, al termine della stagione invernale per molti ortaggi. I problemi del nostro comparto sono stati ancora aggravati dal conflitto. Per uscire da questo vicolo cieco occorre agire su più fronti. E’ necessario sostenere i consumi, così come favorire la programmazione dell’offerta, dare impulso alla domanda dei prodotti italiani in vendita sugli scaffali e promuovere l’equa remunerazione di tutta la filiera».
Gravi sono, sottolinea Del Core, le criticità organizzative e produttive per le aziende agricole del Nord Italia, causate in particolare da fattori climatici come la siccità della Val Padana, fenomeno che non si registrava da decenni, e le gelate notturne primaverili, ormai molto frequenti. «Rimane – continua Del Core – estremamente difficile il contesto commerciale che sta vivendo tutto il comparto dell’orticoltura, con le tensioni causate dall’aumento incontrollabile dei costi dell’energia e delle altre materie prime accessorie alla produzione, a partire dal gasolio agricolo».
Gli ortaggi in serra in Italia sono coltivati su 38.358 ettari, con un valore della produzione di quasi 950 milioni di euro. Le orticole in pieno campo interessano una superficie di oltre 390.000 ettari, con un valore alla produzione di quasi 9 miliardi di euro. Il valore complessivo delle esportazioni supera 1,7 miliardi di euro. A parere della Federazione orticola di Confagricoltura la crescita è possibile, ma vanno assolutamente sciolti i nodi strutturali e rimosse le rigidità.
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